Il messaggio giusto da mandare (conclusioni sugli strumenti di sicurezza, parte 10)

I “questionari” che ho criticato nella parte 9 sono affetti anche da un altro paio di problemi, che condividono in realtà con la gran parte dei safety tool moderni. Un punto che trovo estremamente importante. Non avrei saputo bene come introdurlo, se non fosse stato per un ospite in particolare.

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Attenzione alle scorciatoie

Tempo fa su Instagram mi sono imbattuto in un breve video che lasciava intendere, sostanzialmente, che se un Diemme non vuole usare un safety tool formale è una persona tossica da cui stare alla larga.

(Chissà perché, poi, ce la prendiamo sempre coi Diemme.)

Nei commenti ho provato ad esprimere qualche perplessità. Per cominciare, la mancanza di uno strumento formale non implica per forza la mancanza di sicurezza; in effetti, più persone nelle interviste (Morgengabe, Role Talks…) mi hanno detto che avevano sempre fatto quelle cose anche prima di sapere che ne esisteva una versione formalizzata. Potrebbe benissimo essere il caso anche del Diemme in questione.

Ma soprattutto, notavo (e lo confermo) una crescente tendenza a focalizzarsi troppo sul tool formale in sé, come una panacea. Un caso di prevalenza della forma sulla sostanza, analogo a quanto è successo, in certi ambienti, con la DDI.

Mi è capitato spesso, su chat, gruppi o forum, di vedere qualcuno raccontare un disagio legato al gioco, e le altre persone subito rispondere: “È perché non usate la X-Card / la Consent Checklist / whatever! Di’ al tuo gruppo di usare X-Card / Checklist / whatever e il problema sarà risolto!”. È una scorciatoia superficiale. Prima dovremmo aiutare la persona, e il gruppo, a inquadrare la vera causa del problema, che raramente è la mancanza di un tool formale di per sé. Poi, quando ne avranno preso consapevolezza, potrebbero decidere di adottare anche una meccanica formale, se la trovano utile. Awareness first, tools second.

Inoltre, concludevo, c’è un crescente stigma verso i gruppi che scelgono, liberamente, di non adottare alcuna meccanica di sicurezza formale, solo perché si trovano a proprio agio con l’approccio informale. Si sentono sicuri, giocano bene, non fanno male a nessuno, ma una parte della community non può fare a meno di guardarli storto o di farli sentire in difetto. Non mi sembra una bella cosa.

(Il risultato è stato che la pagina in questione mi ha bloccato.)

Non mettiamoci in fuga

Ho intervistato Raimondo davvero in extremis, grazie a una soffiata di un amico comune (Invernomuto, che saluto), mentre stavo già chiudendo la versione finale degli articoli. Sono molto contento di averlo fatto, perché una sua osservazione è stata eccellente:

Se presentiamo un foglio del genere, che sembra una sorta di “liberatoria” e che cita cose come violenze, abusi eccetera, a persone che non hanno mai giocato di ruolo, rischiamo di intimidirle. Sembra di dire: “in questo gioco si fanno queste cose”.

Benché ci siano posizioni diverse e sfumate sulle meccaniche di sicurezza, e tutti (spero) ci riconosciamo l’un l’altro il diritto di usare o non usare questi strumenti in accordo con il nostro tavolo, c’è sempre più la tendenza a pensare che in mancanza di informazioni, a un tavolo di sconosciuti, magari neofiti, sia preferibile abbondare: meglio uno strumento in più che uno in meno, che male fa?

Beh, se ti porto a bere qualcosa e sulla soglia del locale ti invito a indossare un elmetto, ginocchiere, gomitiere, guanti di maglia di ferro, scarponi chiodati e giubbotto antiproiettile, che idea ti fai di cosa ci sarà dietro quella porta?

La paura must go on?

Certe meccaniche di sicurezza sembrano motivate dal pensiero che la gente abbia paura di esporsi. E non è che quella paura non esista, sia chiaro. Ma se presenti già a tempo zero uno strumento che è palesemente fondato su di essa, beh… il mio psicoterapeuta (supponendo, per ipotesi, che ne abbia avuto uno) parlerebbe di “profezia che si autoavvera”.

Vale la pena chiedersi se non ci sia il rischio di creare rinforzi positivi che favoriscono e assecondano la paura, anziché aiutare a liberarsene.

Fateci caso. Dalla chiacchierata conoscitiva siamo passati ai questionari, e da questi stiamo passando ai questionari anonimi. La gente si vergogna a dire che una cosa non le va bene? Mettiamo una X-Card sul tavolo, così basta toccarla e non bisogna parlare. La gente si vergogna anche a toccare la X-Card? Beh, è arrivato il Buddy System: manda un messaggino a un altro che la tocchi al posto tuo così non si saprà che l’hai toccata tu. Il mio (ipotetico) psicoterapeuta avrebbe una parola anche per questo, sapete? “Evitamento”.

(Questi psicoterapeuti sono delle spine nel fianco, ammettiamolo.)

Insomma: e se l’effetto, a lungo termine, fosse creare un clima che scoraggia la conversazione e la piena comprensione reciproca? Magari in favore, sotto sotto, di un approccio “the show must go on”?

Smitizziamo il gioco!

Sono un tipo abbastanza… uhm… introverso. Conosco la paura, anzi, proprio l’ansia di giocare con altre persone. Ancor peggio se sconosciute! E ho un’idea di cosa sia la peer pressure, la pressione sociale, il timore di non essere il guastafeste di turno. Nei GdR, specie nell’epoca moderna dei vari Twitch e Youtube, si aggiunge anche l’ansia da prestazione, la paura di non essere “all’altezza”. Mentre chi non conosce affatto i GdR potrebbe avvicinarvisi per la prima volta con la tipica diffidenza di chi affronta l’ignoto.

Queste cose si combattono innanzitutto smitizzandolo, il gioco.

È un gioco da tavolo, gente: nient’altro che un fxxxuto gioco da tavolo! Non morde. Male che vada, annoia. Questo, bisognerebbe dire.

Molte meccaniche di sicurezza formali (in effetti tutte) mandano, implicitamente, il messaggio contrario.

Prima di provare un “normale” gioco da tavolo non ti allacci le cinture, non indossi il casco omologato, non compili un questionario di autovalutazione del rischio. Perché dovresti farlo per un GdR?

Sedersi a giocare e sentirsi spiegare cose come X-Card, o Script Change, o (peggio che mai) Open Door fa lo stesso effetto di sentire le avvertenze superveloci alla fine della pubblicità di un farmaco: “può-avere-controindicazioni-ed-effetti-collaterali-anche-gravi-tenere-fuori-dalla-portata-dei-bambini”. La prima cosa che ti viene da pensare è: “oh, cielo, ma allora questa è una roba seria!”. Con probabile corollario di: “dove diamine mi sono cacciato?!”.


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