Sicuri di aver capito? (torniamo al sicuro, parte 1)

Sono trascorsi più di sei mesi da quando ho pubblicato il mio speciale Siamo Sicuri? su dichiarazioni di intenti e strumenti di sicurezza. E ben più di un anno da quando ho iniziato a lavorare per scriverlo.

Ho provato a prendermi (per quanto possibile; cioè, non molto) una pausa di riflessione da questi argomenti. Ma è ora di fare un po’ il punto su com’è andata. Stavolta sarò brevissimo.

Note dolenti

Sono abbastanza deluso da come è stato recepito lo speciale. Non mi illudevo di avere una risonanza clamorosa (che non merito), ma speravo di raggiungere un numero consistente di persone fuori dalla mia solita cerchia. Invece, anche dentro quella cerchia, in parecchi non l’hanno letto. Pochi lo hanno commentato o diffuso. Non è un rimprovero: solo una constatazione.

Devo fare autocritica: è un testo troppo lungo e articolato, quindi poco accessibile. Avevo molto sottovalutato questa cosa. Anche essere stato costretto a “spalmarlo” su due settimane non ha aiutato. Ringrazio tantissimo, a maggior ragione, chi se lo è sciroppato tutto e mi ha poi detto la sua!

Può darsi, inoltre, che io abbia sbagliato modi di promuoverlo. Forse avrei dovuto essere più “sfacciato” nel contattare direttamente gruppi, associazioni, influencer di GdR, chiedendo di aiutare a diffonderlo. Di recente un’altra realtà ha fatto ciò con enorme successo, malgrado il contenuto in oggetto fosse molto più elementare (o forse proprio grazie a questo, chissà).

Conclusioni ignorate

Ho notato più volte, con grande dispiacere, che persone “esterne” (cioè, che non mi conoscono) tendevano a considerare solo la parte introduttiva di Siamo Sicuri? e, al limite, la mega raccolta / glossario delle “meccaniche di sicurezza” che c’è in appendice.

Nella mia visione quello non era che un punto di partenza. Poi lo sono andato ad approfondire con i vari ospiti in un’analisi critica, arricchita da molti esempi reali. Infine ho tratto le conclusioni: il mio pensiero in materia.

Ecco perché mi dispiace che tanta gente si fermi all’inizio, trattando il mio lavoro solo come una comoda “Wikipedia” delle cose già dette e ridette in ogni dove, e ignorando le valide ragioni per metterle in discussione.

Il dito e la luna

Le persone che giocano sono più importanti del gioco: ne sono convinto da sempre, ancor più dopo questo studio, che mi ha insegnato tanto. Il contesto sociale è fondamentale e ha la priorità. Tentativi di anteporre il gioco ad esso (come il classico “è quel che farebbe il mio PG!”, o “sul manuale non c’è scritto che non posso!”) sono molto nocivi.

Proprio per questo, credo che dovremmo evitare in ogni modo di dare l’impressione che esistano strumenti “meccanici” con la pretesa di regolare la dinamica sociale o di sostituirsi ad essa. Finiremmo per convalidare, indirettamente, l’idea che il gioco (con le sue regole, le sue procedure, i suoi tool) abbia la precedenza.

So bene che questa impressione è solo un grosso fraintendimento della questione “sicurezza nel GdR”, ma è molto comune, purtroppo. In giro, i riflettori sono puntati sui safety tool trattati come gadget, dipinti come se fossero di per sé garanzia di una maggior sicurezza. Si guarda il dito anziché la luna. Una corsa ai simboli e alle soluzioni semplicistiche che, in ultima analisi, ci deresponsabilizza.

Un mosaico di equivoci

Ci sono tante idee erronee, sugli strumenti di sicurezza, che ho provato ad analizzare nello speciale.

Credo che la più fuorviante sia che costituiscano una barriera contro le brutte persone (malintenzionate, maleducate, irrispettose o peggio): un modo per tenerle a bada, esporle o frenarne gli attacchi. Non sono riuscito a trovare un solo caso concreto in cui questi strumenti abbiano fatto questa cosa. Molte autorevoli persone intervistate l’hanno smentita. Eppure, purtroppo, vengono spesso propagandati e capiti così.

Perché il nostro tavolo sia sicuro dobbiamo rispettarci e cooperare in modo costruttivo: è la base minima. Quando non succede è un brutto problema, ma non del tipo che può essere risolto attraverso divieti e regolamenti.

Un’altra tendenza diffusa sono i paragoni impropri tra gli strumenti di sicurezza e cose come il casco, la cintura dell’automobile, l’airbag, il freno di emergenza, perfino il profilattico. Il paragone non regge perché quelle sono cose automatiche: una volta predisposte intervengono da sole per prevenire o attutire l’incidente. Nessuna meccanica di sicurezza da GdR può fare questo: per quanto la rendiamo raffinata, sarà sempre una persona ad azionarla, e saranno sempre le altre persone a doverle dare un effetto.

Ciò che può fare lo strumento, al massimo, è comunicare il problema. È un allarme, non un dispositivo di protezione. Può offrirci un modo alternativo per dire “attento, frena!” al guidatore, se la nostra macchina sta andando verso il muro. Ma non può accorgersi del muro al posto nostro, né può frenare o sterzare al posto nostro. Il problema è che siamo inondati di modi ingegnosi e sempre nuovi per dire “attento, frena!”, mentre le spiegazioni su come si frena, o come ci si accorge del muro, sono molto più rare, vaghe, e a volte (vedi X-Card) proprio sbagliate, controproducenti.

Per non parlare della confusione che porta tuttora la Dichiarazione di Intenti (e altre pratiche affini come la sessione zero) a essere messa nello stesso calderone delle meccaniche di sicurezza, malgrado il parere contrario del suo stesso autore. Anche di questo mi sono occupato, nello speciale.

La sicurezza siamo noi

Il mio intento è rimettere al centro del discorso le persone, l’unico elemento davvero imprescindibile della sicurezza.

Tantissimi gruppi hanno giocato, e giocano tuttora, con un patto sociale del tutto funzionale senza bisogno di apposite formalità o guide scritte, né per formarlo né per mantenerlo nel tempo. Esattamente come quando giocano a Risiko, a Uno! o a calcetto: casi nei quali non ci aspettiamo, curiosamente, tali formalità e guide.

Altri gruppi, certo, hanno dinamiche disfunzionali, per un’immensa varietà di ragioni che nessun tool o vademecum può sperare di riassumere e risolvere. È giusto affrontarle, ma senza semplificazioni e ridando alle persone la giusta centralità.

Se guardiamo oltre l’apparenza e i simboli, e ci concentriamo sulla sostanza, potremo impostare un discorso serio, basato innanzitutto sulla responsabilità collettiva e dell’individuo.

Continua?

Nel prossimo futuro cercherò di offrirvi:

Mi aiutereste davvero molto se riusciste a “far girare” Siamo Sicuri? un altro pochino. E soprattutto queste piccole aggiunte, man mano che escono.

4 pensieri riguardo “Sicuri di aver capito? (torniamo al sicuro, parte 1)

  1. Poco da dire: condivido in toto la tua opinione. Ho provato a dirlo in giro ma con scarsi risultati. Ho l’impressione che alla gente non piaccia informarsi (troppo da leggere) e preferisca la mezza frase detta da altri e farci “i film” su.

    Comunque io continuo a spammare i Nalast 😛

    Ciao 🙂

  2. Beh dopo averlo detto mille volte, finalmente ho seguito il mio stesso consiglio e sono venuto fin qui per leggere. Dovrei farlo più spesso, c’è molto da imparare dagli altri blog e per scriverne uno è importante leggere molto.

    Condivido appieno quanto detto sopra, capisco anche però che spesso le meccaniche vengano “pubblicizzate” come difese contro il male perché in effetti… beh, i giocatori antipatici e dannosi ci sono, come ci sono persone spiacevoli in ogni campo della vita. E secondo me l’idea di avere un modo di proteggere il proprio hobby, il proprio tavolo da gioco, è davvero allettante.

    Sono abbastanza certo che se pubblicassi due manualetti identici sugli strumenti di sicurezza e chiamassi il primo “Come difendersi dai troll” e il secondo “Imparare ad ascoltare gli altri giocatori”… il primo venderebbe dieci volte più copie.

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