I non morti sono una categoria di mostri molto particolare, da vari punti di vista. Sono, forse, quelli che creano più spesso dubbi e curiosità sia a livello narrativo/descrittivo che a livello di meccaniche di gioco… per non parlare di quando si cerca di “mettere d’accordo” le due cose.
Nella storia di D&D la “lore” (la conoscenza in-game) che li riguarda è stata molto scarsa e confusa… per fortuna: così c’è più spazio perché ogni Diemme, nel suo mondo, dia la propria interpretazione. Vi va di vedere qual è la mia?
Per ragioni di spazio, la dividerò in due parti; questa è la prima.
Nota bene: è tutto personale
Tutto ciò che segue riguarda i miei mondi di D&D (o, almeno, i miei tipici mondi di D&D); è un riassunto del mio immaginario fantasy personale; non sono regole, né consigli.
Il requisito spirituale
Nella mia visione qualunque creatura, per essere tale, deve avere una scintilla di senzienza: in caso contrario, ai fini del gioco, è un oggetto. Ad esempio, ciò che distingue un costrutto da un veicolo o un macchinario (anche molto sofisticato) è proprio che il costrutto è una creatura. Eppure il costrutto è artificiale. Come lo si rende senziente? Durante la sua creazione si imbriglia al suo interno uno spirito, in genere uno spirito elementale. Anche per i non morti vale questo requisito.
Cos’è un non morto, e come funziona?
Un non morto è una creatura generata a partire dai resti (fisici e/o spirituali) lasciati dalla morte di un’altra creatura.
I non morti più semplici, come scheletri e zombie, sono formati dal corpo di un defunto abitato da uno spirito generico, un cosiddetto spirito del vuoto (sono spiriti senza nome, spesso derivanti da animali morti, o da anime perdute che hanno vagato per intere Ere fino a consumarsi). Questi esseri hanno appena un barlume di senzienza: sono semplici automi, simili in qualche modo ad insetti.
Non morti un po’ più complessi, come ghoul, ghast, mummie e wight, sono cadaveri rianimati che conservano una parte dell’anima dello stesso defunto. In questo caso l’anima, lacerata e distorta, spesso non riesce a trapassare nell’aldilà, ma non rimane nemmeno pienamente all’interno del corpo. Ad animarlo è una sua frazione, a volte animalesca, altre volte intelligente ma comunque priva di grande acume e mossa soprattutto dall’istinto. Può rimanere qualche traccia dei ricordi della vita, ma frammentaria.
Certi non morti incorporei, come ombre, wraith e spettri, sono costituiti solo da una simile frazione di anima lacerata, senza il corpo, che è rimpiazzato da uno fatto di ectoplasma (una misteriosa non-materia insostanziale). In genere non sono animaleschi, anzi, in alcuni di loro la nuova natura incorporea va addirittura ad acuire l’astuzia e le doti intellettive; ma sono comunque dominati da alcuni potenti istinti o desideri: della persona di un tempo rimangono, anche in questo caso, solo tracce frammentarie, e magari un’eco visibile nell’aspetto.
Infine ci sono i non morti superiori, come vampiri, lich, fantasmi veri e propri, mummie superiori, cavalieri della morte eccetera. Essi mantengono per intero l’anima e la mente del defunto da cui derivano; quelli corporei mantengono anche il suo corpo.
In tutti i casi, le misteriose forze della non-vita prendono il posto del metabolismo e della fisiologia “naturali” dei viventi. Questo porta a molte differenze, tra cui quelle ovvie: un non morto non ha bisogno di nutrirsi (anche se alcuni sentono stimoli simili alla fame) né di bere, dormire o respirare. Ma certe altre funzioni, come quelle motorie e sensoriali, vengono emulate in modo più o meno accurato.
Curiosità: uno scheletro può chiudere gli occhi?
Di recente ho avuto una discussione al tavolo su se uno scheletro potesse o non potesse chiudere gli occhi (se così gli viene ordinato, ovviamente). Sono rimasto spiazzato.
Sono sicuro che uno scheletro possa essere bendato: le forze della non-vita che emulano la sua funzione visiva sono localizzate in corrispondenza delle orbite oculari e funzionano “ricevendo la luce” in modo analogo a occhi biologici.
E sono altrettanto sicuro che non possa essere accecato con la violenza fisica, ad esempio cavandogli gli occhi con un coltello: non ci sono occhi da cavare (una potente magia di luce, invece, potrebbe riuscirci).
Ma sul fatto che potesse “chiudere gli occhi” (sopprimere volontariamente la propria vista)… beh, non mi ero mai posto il problema.
Ne ho discusso con il tavolo in modo aperto, come faccio in questi casi, e la maggioranza ha deciso per il sì: in quella campagna, quindi, gli scheletri possono chiudere gli occhi (è un ruling che ormai crea un precedente).
Ripensandoci a mente fredda me ne sono abbastanza pentito: credo che enfatizzare la differenza tra i non morti e i viventi, ogniqualvolta è possibile, sia da preferire, perché rende il mondo di gioco più vario e interessante. Oggi sarei propenso a dire che uno scheletro non può chiudere gli occhi.
Come si uccide chi è già morto?
In buona parte del nostro immaginario fantasy, una delle caratteristiche principali di un non morto è essere difficilissimo da distruggere: proprio perché è già morto. Un tipico problema di giochi come D&D è che il regolamento non riesce a rendere bene quest’idea, per cui, alla fine, sembra un mostro come tutti gli altri: ha i suoi punti ferita, quindi lo puoi prendere a botte, e a un certo punto li finisce ed è steso.
Pur senza allontanarmi troppo dai paradigmi centrali del gioco, al mio tavolo cerco sempre di fare in modo che la differenza si senta. In primo luogo attraverso un’enorme quantità di resistenze e immunità (non sperate che tirare frecce a uno scheletro serva a granché… e le creature incorporee, se non si usa la magia, sono del tutto invulerabili). E poi, di solito, attraverso capacità speciali ad hoc.
Gli scheletri, se distrutti, vanno in pezzi, ma hanno una certa probabilità di ricomporsi nel corso del round successivo. Gli zombie e le mummie, se portati a zero punti ferita, hanno una certa probabilità di rimanere mutilati (perdere un braccio, una gamba o perfino la testa) ma continuare a lottare. Ombre, spettri e fantasmi tornano a infestare lo stesso luogo dopo un po’ di tempo, se non viene adeguatamente “bonificato”. Quanto a lich e vampiri… beh, sappiamo tutti che non c’è verso di ucciderli se non con accorgimenti specifici.
Continua…
Ma come nascono questi esseri? Come si comportano? Perché vengono creati? Come viene vista la cosa dalla società? E perché i chierici hanno il potere di respingerli?
Lo vedremo nella prossima puntata.
Articolo molto interessante! Ho sempre avuto un rapporto difficile con i “non-morti”; da un lato l’idea di un cavaliere scheletrico che ti aggredisce nei claustrofobici corridoi di una segreta è molto emozionante, dall’altro non mi è mai piaciuto che i non-morti fossero esseri privi di metabolismo. Come dici tu stesso: “Questo porta a molte differenze, tra cui quelle ovvie: un non morto non ha bisogno di nutrirsi (anche se alcuni sentono stimoli simili alla fame) né di bere, dormire o respirare. Ma certe altre funzioni, come quelle motorie e sensoriali, vengono emulate in modo più o meno accurato.”
Non so dirti bene il motivo, ma per il mio modo di ragionare questo è difficile da accettare: se una creatura è in qualche modo “viva” (o è stata riportata a uno condizione che possiamo definire in qualche modo “viva”) allora deve aver bisogno di nutrirsi. Non necessariamente di cibo organico, magari di qualche altro tipo di sostanza, ma ne dovrebbe aver bisogno.
Anche il sonno o il respiro dovrebbero essere mantenuti, insieme a tutte le altre funzioni biologiche essenziali.
Anche perché spesso ho ragionato su una questione che, non so dirti bene perché, ho trovato in qualche modo disturbante: se il corpo fisico non fosse necessario per la sopravvivenza dell’ “anima”, allora perché in un mondo fantasy i corpi fisici esistono in primo luogo? Perché patire la fatica, la vecchiaia, la malattia o la morte, se le anime potessero vivere “di per sé” senza questo inutile orpello che è il corpo? Per volontà di qualche sadico Dio?
Siccome per me non ha senso l’esistenza di un Dio sadico nelle mie ambientazioni (anche se sarebbe un concetto interessante da esplorare in qualche campagna particolarmente lugubre e nichilista), sono giunto alla conclusione che nelle mie ambientazioni non vi sia una dicotomia “mente-corpo” o “anima-corpo”, esse sono un tutt’uno indivisibile; la mente plasma il corpo e il corpo plasma la mente. Non fraintendermi, nella mia personalissima visione fantasy (che non ha la pretesa di essere usata per interpretare la realtà, sia ben chiaro) l’anima in qualche modo esiste, ma non può essere separata dal corpo: quindi anche le creature sovrannaturali devono essere corporee, anche gli angeli sanguinano, insomma.
Bene, mi rendo conto che più che un commento ho scritto una sorta di flusso di coscienza, spero di un essere stato eccessivamente confusionario :’D
Grazie, è un commento molto bello! E la domanda che pone è davvero interessante… quasi quasi aggiungo una terza puntata con quella che (nelle mie ambientazioni) è la risposta 🙂
Senza offesa ma stai ragionando come i primi scienziati che, vedendo i dinosauri, dicevano che erano troppo grandi per sopravvivere e dovevano quindi essere lenti e sempre immersi nell’acqua o sarebbero stati schiacciati dal proprio peso. Poi hanno scoperto che non solo si muovevano senza problemi, ma potevano correre, erano agili e non avevano nessun problema di troppo peso. Se una cosa non riesci ad immaginarla, non significa che non sia possibile. Questo può aprire molte possibilità. Certo, qui parliamo di un gioco di fantasia, dove il nostro immaginario è la dominante. Ma secondo il tuo ragionamento, gli incorporei non dovrebbero esistere. E quando il tuo PG ne incontra uno che succede? 😛
Scherzi a parte, trovo interessante il tuo ragionamento: che i non morti abbiano comunque bisogno di qualcosa che li leghi alla loro (non) vita, altrimenti andrebbero oltre, ma non sono d’accordo che questo debba essere cibo, respiro, ecc. Naturalmente, come ho detto anche a Bille Boo, io mi immagino che una parte si perda sempre: per quanto un non morto sembri vivo, tutto ciò che ti rendeva vivo, la soddisfazione che si prova nell’ottenere qualcosa, l’appagamento nel raggiungere un obbiettivo, persino il desiderio di avere qualcuno accanto, perdono significato e non ti soddisfano più. Perché? Perché sei morto! E questo porta tutti i non morti a scivolare verso l’Abisso in quanto non vogliono ammetterlo e provano ad ottenere quelle sensazioni che lo rendevano vivo in altri modi, senza mai più riuscire ad ottenerle…
Ciao 🙂
Ciao! Risponderò ad alcuni punti del tuo commento.
“Ma secondo il tuo ragionamento, gli incorporei non dovrebbero esistere. E quando il tuo PG ne incontra uno che succede? 😛”
Infatti, nella campagna che ho attualmente in corso, in un sistema di gioco personale che si chiama Radiogenesi basato sul d20 system, non sono presenti nemici incorporei. Coerentemente con la mia visione, non sono presenti neanche scheletri rianimati. Sono presenti ghoul, ghast e altre creature sovrannaturali, ma pur essendo “mostruose” e forse non del tutto vive, hanno un metabolismo e svolgono tutte le funzioni basilari degli esseri viventi. Perciò, per quanto riguarda il mio sistema di gioco e la mia ambientazione, sono coerente.
Per quanto riguarda quando gioco come PG nelle campagne più tradizionali di altri master, non mi faccio problemi particolari con i non-morti. Semplicemente, prendo atto che la magia può sopperire a tutte le loro necessità. Non è una spiegazione che mi piace o trovo soddisfacente, ma me la faccio andar bene, non compromette il mio divertimento al tavolo di gioco. Infatti, come ho scritto all’inizio del mio commento: “Ho sempre avuto un rapporto difficile con i “non-morti”; da un lato l’idea di un cavaliere scheletrico che ti aggredisce nei claustrofobici corridoi di una segreta è molto emozionante, […]”
“Scherzi a parte, trovo interessante il tuo ragionamento: che i non morti abbiano comunque bisogno di qualcosa che li leghi alla loro (non) vita, altrimenti andrebbero oltre, ma non sono d’accordo che questo debba essere cibo, respiro, ecc.”
Personalmente, se si vuole dare delle necessità sovrannaturali ai non-morti, ho sempre trovato interessante l’ambientazione di Planescape, dove la fonte di energia di tutti i non-morti è il piano dell’energia negativa, una vera e propria manifestazione dell’entropia cruda dell’universo, che porta tutto alla dissoluzione e al disfacimento.
Quindi è come se i “non-morti” si nutrissero dell’energia negativa di questo piano cosmico.
“Naturalmente, come ho detto anche a Bille Boo, io mi immagino che una parte si perda sempre: per quanto un non morto sembri vivo, tutto ciò che ti rendeva vivo, la soddisfazione che si prova nell’ottenere qualcosa, l’appagamento nel raggiungere un obbiettivo, persino il desiderio di avere qualcuno accanto, perdono significato e non ti soddisfano più.”
Questo è un concetto interessante, ma mi sembra riguardi più l’aspetto psicologico di una creatura, le sue difficoltà interiori, il suo tedio esistenziale dovuta alla condizione della non-morte.
Invece io mi interrogavo sulla natura della “non-morte” in sé, cosa sia questa condizione spesso data per scontata nella narrativa fantasy ma che, secondo me, scontata non è, per diversi motivi di natura per lo più filosofica.
Se vogliamo parlare della psicologia di creature come ghoul, ghast, lich e vampiri mi farebbe molto piacere, ma credo che sia un altro argomento :]
Ciao! Ho trovato l’articolo molto interessante; un buon punto di vista, anche se secondo me, anche lich e vampiri perdono una parte di anima, altrimenti rischiamo di creare dei vampiri alla Twinlight: esseri umani con superpoteri!
Ciò detto, anch’io ho le mie opinioni sui non morti, ma non mi sembra il caso di farle qui e soprattutto non nella prima parte. Magari parto col pippone nella seconda 😛
Ciao 🙂
Ciao, certo, infatti è come hai detto tu in un altro commento: un’anima ha bisogno di un corpo vivo per vivere “bene” nel mondo materiale, altrimenti inizia a corrompersi, è come se “marcisse”. Che è il motivo di fondo della malvagità dei non morti, e la ragione per cui un vampiro e un lich, pur mantenendo l’anima per intero, diventano una versione distorta del loro io precedente.