Chi me lo fa fare? (agency again, parte 1)

Il focoso pirata Indigo, personaggio della giocatrice Pina, ha raggiunto finalmente la città dove sorge il palazzo del principe Alì. È intenzionato a sedurlo, a qualsiasi costo. Ma non sarà semplice: ci sono diverse incognite sul suo cammino. La Diemme Emma riordina gli appunti. Tutto il tavolo aspetta, trepidante, di scoprire come andrà a finire.

L’articolo Agency, questa sconosciuta è stato il secondo in assoluto che ho pubblicato, e credo che tutto sommato sia invecchiato bene. Ma dopo quasi tre anni e mezzo ho pensato che fosse tempo di approfondire di più quell’argomento: l’arbitrio (o agentività) dei giocatori.

Ci ho lavorato a lungo ed è venuto fuori un discorso così ampio che ho dovuto dividerlo in più parti. Spero di non annoiarvi. Dopotutto è un discorso complesso (da cui il titolo). Siate clementi con me.

Contesto e avvertenze

Ormai lo sapete: qui parlo di D&D, anzi, meglio, di quello che ho definito il “mio” D&D. Il discorso che farò è solo in quest’ambito. Non che la teoria generale dei GdR non mi interessi, ma non ho le competenze per esporla, e comunque non è l’oggetto del blog.

Vi ho parlato anche del mio personale modo di giocare: non è necessario condividerlo per ciò che segue, ma può servirvi per ulteriore contesto.

Questo blog si rivolge principalmente ai Diemme, e continuerò a farlo anche in questa serie. Tuttavia, un errore che forse ho fatto in quel vecchio articolo è stato concentrarmi troppo sul rispetto, da parte sua, dell’agency dei giocatori, dando l’impressione che essa fosse qualcosa che viene in qualche modo elargito da lui. Non è così. Inoltre, esiste anche l’agency del Diemme, che i giocatori devono rispettare tanto quanto lui rispetta la loro. Spero di riuscire stavolta a chiarire meglio.

In questa prima parte vi tocca sopportare un bel mattone di teoria. Mi conoscete, devo per forza cominciare così. Ma tenete duro e vedrete che le parti seguenti saranno tutte in discesa.

Come potrebbe andare

Nel mondo di gioco potrebbe succedere questo:

Indigo si procura una spilla di giada come dono per il principe, e un abito elegante per far bella figura. Cerca informazioni sul palazzo e sui movimenti del soggetto. Al crepuscolo si incammina. Incrocia numerosi passanti, poi viene assaltato da dei briganti di strada e li respinge. Raggiunto l’edificio si lancia un incantesimo di invisibilità, scavalca il muro di cinta, si arrampica fino alla finestra giusta ed entra nella camera del principe. Non ce lo trova e decide di andarlo a cercare. Elude due inservienti. In biblioteca trova Alì, si palesa, si presenta e cerca di convincerlo della genuinità dei suoi sentimenti. Lui non ci sta e chiama le guardie. Indigo fugge rocambolescamente dalla finestra ma gli lascia la spilla con un biglietto.

Non possiamo, però, restare a questo livello: l’agency in un GdR è del giocatore (e del Diemme), non del personaggio. Bisogna riflettere su cosa c’era in ballo, su qual è stato il ruolo di Pina e di Emma, e su quali fossero le incertezze.

Cosa c’è in ballo

Se stiamo facendo un gioco (di ruolo, ma comunque gioco) dev’esserci qualcosa in ballo. Una posta. Un risultato in sospeso. Qualcosa di incerto che ci interessa e che andremo a determinare attraverso il gioco stesso.

  • Incerto = Nessuno di noi lo sa, è indeterminato, è un punto di domanda.
  • Ci interessa = Vogliamo saperlo, lo consideriamo importante, ci teniamo a sciogliere quell’incertezza.
  • Determinare attraverso il gioco = Non vogliamo che la risposta sia decisa da noi (né da qualcuno singolarmente, né da tutti collaborando): vogliamo giocarcela, cioè inserire i nostri contributi e lasciare che sia il gioco stesso, coi suoi meccanismi, a produrre la risposta.

Per “noi” intendo, ovviamente, tutte le persone al tavolo, compreso il Diemme.

Paragoni extra-ruolo

Per chiarire meglio, pensiamo a qualche gioco da tavolo non di ruolo.

A Cluedo, a scacchi, a briscola, in ballo c’è chi vincerà. Sono giochi competitivi. Notate che in Cluedo la soluzione del caso (colpevole, arma e stanza) non è in ballo: è una cosa incerta che ci interessa, ma non è influenzata dai nostri contributi; quello che è in ballo è invece chi di noi riuscirà a trovarla. Vi torna? (Potremmo estendere il discorso perfino a molti sport.)

E in un caso non competitivo? Beh, Cthulhu – Lo Stregone di Salem è un gioco da tavolo collaborativo (ispirato alla letteratura di Lovecraft). Lì in ballo c’è se noi giocatori riusciremo o no a fermare il rituale oscuro, e a quale prezzo.

Rilancio. Ci sono giochi fatti a voce (come il classico telefono senza fili), o di carta e penna (come quello che Wikipedia chiama Sigaretta – lo conosco e lo trovo divertentissimo ma, wow, non sapevo che avesse un nome), in cui non si tratta di “vincere” nemmeno in gruppo: in ballo c’è solo la frase o scenetta buffa che verrà fuori e ci farà ridere. Anche in questo caso nessuno l’ha decisa: è frutto del gioco, ci sorprende tutti.

Tornando al ruolo

Nei GdR il discorso sembra più intricato, perché sia le cose in ballo sia i nostri contributi sono all’interno di una realtà immaginata e non hanno senso senza di essa. Ma il principio rimane valido.

In generale, ci saranno cose in ballo sia a livello macroscopico (la sessione, l’avventura, l’intera campagna) che microscopico (uno specifico incontro, una singola azione), anche se non è detto che quello che facciamo riguardi solo quelle.

Nelle prossime puntate lo vedremo meglio (spero). Ma credo sia evidente che ci siano anche:

  • cose che non sono incerte (es. tutti sanno dove si trova Indigo; Emma sa dove si trova il principe);
  • cose che non ci interessano (es. è ben raro che ci preoccupiamo di se e quando i PG vadano al gabinetto);
  • domande la cui risposta non è determinata dal gioco, bensì decisa da un partecipante (es. Emma decide cosa vogliono e come si comportano i banditi; Pina decide come si comporta Indigo quando li incontra, etc.).

Chi decide cosa

Veniamo, appunto, alle decisioni. Un gioco dev’essere un’attività interattiva, in cui ogni partecipante inserisce il suo personale contributo. Se non contribuiamo siamo spettatori (come al cinema o davanti alla TV), non giocatori: possiamo essere influenzati dall’attività (es. a livello emotivo) ma non influenzarla.

Contribuire deve comprendere una libertà decisionale da parte nostra. Se è già stabilito cosa dobbiamo fare, al punto che non dobbiamo decidere nulla ma solo eseguire, è difficile dire che stiamo giocando; stiamo… operando, o facendo una performance.

(Se pensate che questo discorso escluda il Gioco dell’Oca dal novero dei giochi… beh, pensate bene. Prendetevela con chi l’ha inventato, non con me. Anche se gira voce che in origine comprendesse delle scommesse: ecco, quello avrebbe restituito ai giocatori un po’ di facoltà decisionale.)

I diversi partecipanti hanno il compito di decidere cose diverse. E le decisioni di ciascuno influiscono sulle decisioni degli altri o ci interagiscono. Sennò non stiamo giocando insieme, vi torna?

Il compito di decidere

Ora, se volessimo parlare di GdR in generale, la materia diventerebbe alquanto complessa.

Se ci tenete, vi rimando alla conversazione sulle autorità in gioco tra Ranocchio e Daniele di Rubbo: difficile spiegarla meglio di come abbiano fatto loro. Un giorno forse proverò a offrirmi di riassumerla per scritto. Forse.

Per fortuna parliamo di D&D, e questo ci semplifica il lavoro.

Da giocatrice, il compito di Pina è prendere decisioni per il suo PG, Indigo: decide lei come descriverlo, che cosa pensa, che cosa vuole, e che cosa fa (o meglio, cerca di fare).

Da Diemme, Emma ha il compito di controllare, in modo analogo, il resto del mondo di gioco: descrive lo scenario e le situazioni (quindi: fornisce informazioni ai giocatori) e decide cosa pensano, vogliono e fanno (o meglio, cercano di fare) i PNG, i mostri, le fazioni e gli altri elementi attivi che non sono PG.

Ha anche un altro compito, che potremmo definire arbitrale: individua le situazioni di incertezza, applica le regole che portano alla loro risoluzione, e la dichiara. Lo vedremo tra un attimo.

A parte questo, non fatevi ingannare dall’apparente disparità “quantitativa” tra i due insiemi di cose da controllare. Non importa quanto sono grandi: il gioco va avanti solo se interagiscono, e questa interazione è del tutto paritaria. Emma non può descrivere la camera del principe se Pina non ha detto che Indigo ci entra. Pina non può decidere che Indigo esce in corridoio se non le è stata descritta la porta che dà sul corridoio. E, finché non lo fa, Emma non può introdurre gli inservienti del corridoio. E, finché quelli non sono stati introdotti, Pina non può descrivere come Indigo cerca di eluderli. E così via.

Se volete il motivo della disparità “quantitativa” ricordatevi della semplice verità nascosta di un mesetto fa: decidere una cosa e scoprirla si escludono a vicenda, e D&D è pensato per permettere ai giocatori di scoprire, esplorare, tutto il mondo di gioco eccetto i loro PG.

Decisioni significative

Potrei fermarmi qui, ma non voglio. Sono profondamente convinto che si debba tracciare una distinzione tra le decisioni prese sostanzialmente alla cieca e quelle prese con cognizione di causa.

Questo soprattutto dal punto di vista del giocatore. Non che non valga anche per il Diemme, in teoria, ma bisogna essere franchi e ammettere che è uno di quei pochi ambiti in cui l’asimmetria tra i due ruoli ha spesso un grosso peso.

Di fronte a due corridoi uguali, far andare il PG di qua o di là è senza dubbio una decisione del giocatore: suo compito e responsabilità. Se si gioca onestamente (approfondiremo in un’altra puntata) può anche essere una decisione molto rilevante dal punto di vista delle successive conseguenze sul gioco. Resta il fatto, però, che non lascia spazio alla sua creatività, alla sua strategia, al suo (volendo) gusto estetico.

Se invece ha informazioni (anche parziali, ma veritiere) su cui ragionare, può fare una ragionevole stima delle implicazioni e conseguenze dell’una o dell’altra opzione, e prendere quindi una decisione consapevole: andare da quella parte per un motivo. Questo secondo tipo di scelta dà un senso di coinvolgimento e di responsabilità enormemente maggiore.

Intendiamoci: come dicevo già nel vecchio articolo di qualche anno fa, nessuno si aspetta che tutte le decisioni siano del secondo tipo. Le decisioni alla cieca sono normali, in molti dungeon sono all’ordine del giorno. Non sono una cosa negativa, solo una cosa poco significativa.

Il punto è che se abbiamo solo decisioni alla cieca (o quasi) si torna al problema del Gioco dell’Oca: sembra che il giocatore stia decidendo, in realtà sta eseguendo un compito automatico, senza aggiungere niente di personale. Potremmo sostituirlo con un generatore di numeri casuali.

Per questo penso che fermarsi a quali decisioni prende Pina, nel nostro esempio, non sia sufficiente: dobbiamo sforzarci di capire quanto erano consapevoli, e quindi significative, quelle decisioni. Il che dipende dalle informazioni in suo possesso. E fornire quelle informazioni è stato compito di Emma.

Capite dove voglio arrivare?

C’è incertezza? E dove?

Ultimo punto e poi la smetto con la teoria. Facciamo conto che si stia giocando bene e tutto funzioni: Pina dice cose su quello che spetta a lei, Emma dice cose su quello che spetta a lei, si ascoltano a vicenda e rispondono l’una all’altra.

Presto o tardi (in effetti, abbastanza spesso) arriverà un momento di incertezza, in cui non sapranno come continuare, perché ci sono una o più cose importanti che nessuna di loro può decidere arbitrariamente. Bisognerà fare appello a un’entità terza: alle regole; in molti casi, ai dadi.

Nel nostro D&D, il tipico caso in cui succede è quando qualcuno (nel mondo di gioco) prova a fare qualcosa ma non è detto che ci riesca.

Incertezza produttiva

Ovviamente non è che ogni volta che un personaggio fa qualsiasi cosa bisogna mettersi a tirare dadi (per poi, magari, lamentarsi che D&D è un gioco fatto male perché ci sono “troppi tiri” e non c’è il fail forward).

Una buona incertezza è un’incertezza produttiva: una in cui sia il successo che l’insuccesso producono conseguenze rilevanti sulla situazione in gioco. Bisogna tirare solo in questo caso.

(Il che è diverso da dire che ogni volta che si tira bisogna inventarsi conseguenze a tutti i costi. È rilevante, ergo si tira. Non: si tira, ergo dobbiamo renderlo rilevante. Non confondiamo la causa con l’effetto.)

Se avete letto il mio flusso di gioco sapete che ho insistito molto su questo punto.

Sciogliere l’incertezza

Identificare l’incertezza, e inquadrarla in termini di regole del gioco, fa parte del compito arbitrale del Diemme.

Così come è compito suo dichiarare l’esito: benché siano le regole e i dadi a stabilire la risposta all’incertezza, è il Diemme a portare concretamente quella risposta in gioco, semplicemente dicendo cosa è successo, nel modo più chiaro e semplice possibile. Come prima ha “tradotto” la situazione immaginata in termini di regole, così ora “traduce” il frutto delle regole in una nuova situazione.

A questo proposito:

  • Nulla di tutto ciò implica che “alla fine è il Diemme che decide tutto” o sciocchezze del genere. Il Diemme è interessato all’incertezza come gli altri partecipanti. Essa viene sciolta in base alle regole (servono a quello!), non alla sua volontà personale. In questa fase non c’è più decisione ma solo valutazione ed esecuzione. (Non tiratemi in ballo la regola zero e altre cose che non c’entrano nulla.)
  • In caso di necessità fa parte dei compiti del Diemme anche il cosiddetto ruling, cioè creare al volo una regola se non c’è. Certi stili di gioco, come quello OSR, si basano in modo massiccio su questa cosa, altri cercano di limitarla. Comunque non invalida il discorso: una regola creata sul momento è sempre una regola.
  • La funzione arbitrale, peraltro, anche se è compito di una persona, si regge esclusivamente sul consenso comune del tavolo (come ho cercato di spiegare altrove).

Continua…

Certo che sei un bel tipo, penserete voi: hai detto che era una serie sull’agency e non l’hai menzionata nemmeno! Avete ragione. Ma vi ho tediati abbastanza, per oggi. Nella prossima puntata andremo più sul pratico, sviscerando l’esempio del focoso pirata Indigo.

2 pensieri riguardo “Chi me lo fa fare? (agency again, parte 1)

  1. Argomento molto difficile e molto interessante. Aspetto i seguiti 🙂

    Ciao 🙂
    PS: sto avendo una discussione proprio sulle regole e sull’arbitrarietà delle decisioni. Alla fine della serie, potrei citarti 😉

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