Feticisti delle meccaniche? (conclusioni sugli strumenti di sicurezza, parte 8)

Siamo un po’ “feticisti delle meccaniche”, come ha detto Dada? È probabile.

Nella parte 5 ho proposto un possibile criterio per identificare cosa rende “meccanica” una meccanica. Nella parte 6 e nella parte 7 abbiamo visto un po’ di comuni equivoci ed esagerazioni. Proseguiamo…

Attenzione: devi aver letto le avvertenze obbligatorie per poter comprendere questo articolo.

Due opposte distorsioni

Intendiamoci, in generale le meccaniche servono. Un gioco non può funzionare senza regole.

Se ci abituiamo a ignorare le regole del gioco, o a considerarle qualcosa di opaco e vago che trattiamo senza consapevolezza, rischiamo di cadere nella degenerazione a cui accennava Ranocchio: in cui, cioè, il gioco viene risolto in base ai meri rapporti sociali. Non ve la faccio lunga ma un bel po’ di tempo fa c’è stato un movimento, in ambito GdR, che tra le altre cose si batteva proprio contro questa distorsione. Giustamente.

Il paradosso è che ora rischiamo di cadere nell’errore speculare: cercare di trasportare sul piano delle meccaniche, interno al gioco, un sacco di cose che appartengono invece alla sfera sociale e vanno gestite e risolte lì.

Bathroom Break

Un giorno qualcuno inventerà una safe word dal nome accattivante da usare per andare al gabinetto. Che so, Bathroom Break (in inglese suona sempre meglio). Al suo tavolo inizieranno a usarla, ci prenderanno gusto, ne parleranno sui social network e inizierà a diffondersi.

Pian piano, sempre più gente si abituerà a pensare che se si può andare al gabinetto durante la sessione è grazie a quello. Quando un amico ci racconterà che la sera prima, a metà sessione, è dovuto correre in bagno a fare un bisognino, gli diremo: “Ah, allora usate il Bathroom Break!”; e se ci guarderà perplesso aggiungeremo, con l’aria di chi la sa lunga: “Magari lo usate senza saperlo!”.

A un certo punto diventerà necessario esplicitare che al tuo tavolo “adottate” quella meccanica, altrimenti la gente potrebbe pensare che non viga la libertà di andare al gabinetto.

Soprattutto, se qualcuno osserverà che tutta la storia del Bathroom Break gli sembra una cavolata, reagiremo indignati come se fosse contrario all’andare al gabinetto (trappola 1 in azione), anziché contrario a instillare nella gente il pensiero che serva un’autorizzazione del regolamento per una roba così elementare. D’altronde, si sa, se gli sembra scontato è solo indice del suo privilegio. Prepariamoci ad aprire ogni sessione dando il permesso di respirare…

Esagero, ma non del tutto

“Questo è uno slippery slope argument!” mi sgriderà qualcuno. (Cioè: stai esagerando, stai portando tutto a un estremo assurdo.)

Ammetto che ho fatto, di proposito, un discorso paradossale (anche se va detto che un paio di persone mi hanno raccontato di aver davvero usato una meccanica di sicurezza per andare al bagno).

Ma i sintomi di quella china ci sono e vi posso raccontare diversi esempi.

Porta aperta ai fraintendimenti

Se vi dicessi che la “meccanica della porta aperta” è stata, nel tempo, completamente distorta rispetto all’intento originario?

È vero che la prima formulazione di E. Fatland [11] era stringata:

Se il gioco ti mette a disagio, hai la libertà di andartene.

(traduzione mia)

Ed era anche piuttosto ambigua. La cosa più corretta da dire sarebbe: “Hai la libertà di andartene”, e basta. Ammesso che ci sia bisogno di esplicitarlo. Nel senso: se non fosse così vorrebbe dire che sei sottoposto a sequestro di persona.

Ma poco dopo L. Stark ne spiegava il senso per esteso [5]:

Significa non fare pressioni alle altre persone perché continuino a giocare se non vogliono, neanche se la loro assenza impedisse al gioco di continuare. Significa non parlare male di chi se ne va. Significa provare a contrastare l’atteggiamento per cui i “veri giocatori”, che fanno “sul serio”, non avrebbero problemi a partecipare a quella scena di waterboarding [un tipo di tortura, NdT].

(traduzione mia)

In pratica, la Open Door originaria era rivolta non a chi vuole andarsene, ma alle altre persone. Era un memento di una serie di princìpi etici, di buona educazione: non insultare chi se ne va, non insistere per farlo rimanere, eccetera.

Sembra una sottigliezza, ma è completamente l’opposto rispetto a “una regola che ti autorizza ad andartene”, come viene spiegata oggi!

Un qualche perverso meccanismo sta portando a confondere i piani tra “ricordatevi che è sbagliato fare Cose Cattive” e “a questo tavolo vige una Regola di Gioco che vi dà il permesso di agire senza che vi siano fatte Cose Cattive”.

Addirittura, come nel caso che ci ha raccontato Ranocchio, a certi tavoli l’Open Door viene interpretata così: “puoi andartene, sì, ma a patto che tu assuma in modo convincente il ruolo della vittima, offesa e traumatizzata, facendoci sentire in colpa; senza questo requisito, sei un rompiscatole”. E non vale solo per l’Open Door

Eccesso d’ingegneria

Non molto tempo fa stavo organizzando una giocata autoconclusiva, di poche sessioni. In una chat apposita ho discusso coi giocatori riguardo le premesse del gioco, le regole, la creazione dei PG e così via: una sessione zero a tutti gli effetti (chissà se conta come DDI? 😉).

Tutto si è svolto molto velocemente, finché non ho posto la fatidica domanda: volete usare delle meccaniche di sicurezza? Precisando:

In loro assenza ovviamente è inteso che: le persone sono più importanti del gioco, se qualcuno vuole una pausa la può sempre avere, se qualcuno è a disagio per qualcosa lo dice e si toglie / si vela senza che debba per forza spiegare perché.

La discussione che è seguita è stata lunga quanto tutto il resto della sessione zero messo insieme. E la cosa interessante è che le persone premettevano di non avere, per conto proprio, nessun problema con quella proposta base, però poi si ingegnavano ad aggiungere ulteriori misure di sicurezza “per emergenza”, “nel caso in cui qualcun altro…”, eccetera.

Sono dovuto intervenire chiedendo per favore di concentrarsi ognuno sulle proprie esigenze e di non fare overengineering.

Erano tutti bravissime persone e in assoluta buona fede. E non è successo niente di grave, intendiamoci. Ma mi ha dato da pensare. Sembrava quasi che sentissero l’esigenza di dimostrare qualcosa a sé stessi, o a vicenda.

Alla fine non abbiamo introdotto nessuna meccanica di sicurezza formale e la giocata è andata bene, compreso (cosa interessante) un passaggio delicato, con una scena piuttosto forte e un conflitto di interessi tra PG.

Una meccanica per ogni cosa

Qua e là, su gruppi e forum di GdR, mi è capitato di assistere a discussioni che non esiterei a definire un po’ surreali, senza offesa per le persone coinvolte.

In una, ad esempio, una persona si lamentava dell’eccesso di chiacchiere durante il gioco, che rischiava di deconcentrarla o di rovinare l’atmosfera. In risposta sono arrivate diverse proposte di meccaniche per regolare le chiacchiere, con “parole d’ordine” apposite per iniziarle e terminarle, e c’è stata tutta una discussione in merito. Sul serio.

Per carità, può essere divertente come esercizio intellettuale. Ma lascia perplessi che si senta il bisogno di regolamentare, o “gamificare”, ogni minima interazione sociale, anche quelle del tutto normali, che si dovrebbero poter gestire senza particolare imbarazzo.

Un’altra discussione ruotava attorno al disagio emotivo provocato, in alcune persone, dal fatto che la sessione venga annullata o interrotta. Tutti sono stati comprensivi e solidali, naturalmente. Nessuno però sembra aver notato come questo fattore sia in contrapposizione con la “porta aperta”. Meno male, perché ci mancava solo una “policy della porta chiusa” 😅…


Un pensiero riguardo “Feticisti delle meccaniche? (conclusioni sugli strumenti di sicurezza, parte 8)

  1. Non mi sono mai capitate esperienze simili, ma quando si parla di meccaniche di sicurezza (un po’ meno per la DDI ed ancor meno per la sessione zero, anche se c’è stato un tempo in cui non era così) che la cosa tenda a divenir esagerata… ed io tra un po’ penso: tra un po’ inventeranno la meccanica per respirare…

    Ciao 🙂

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