Il Dopospeciale (torniamo al sicuro, parte 4)

Per quanto mi sia sforzato di renderlo vasto e completo, il mio speciale Siamo Sicuri?, dello scorso ottobre, non mostra che uno scorcio delle questioni amplissime a cui è dedicato (dichiarazioni di intenti e strumenti di sicurezza).

Ho continuato a tenere d’occhio il dibattito in materia. E qualcuno è stato così gentile da mandarmi direttamente del materiale. Ecco le cose più interessanti che ho visto.

Articoli, video e post su blog

Profonde riflessioni di Spacerunner

Già a novembre scorso, Cristian detto Spacerunner ha scritto su Eclectica Miscellanea una sorta di risposta a Siamo Sicuri? con le riflessioni che gli aveva suscitato.

L’ho trovato un testo molto bello e profondo. Il punto di vista è diverso dal mio ma, in parte, convergente. Ho apprezzato la sua onestà intellettuale, libera dai posizionamenti identitari. Vi consiglio questa lettura, che espande e arricchisce l’intervista che mi aveva rilasciato.

Anche Meg Baker preferisce “strumenti di comunicazione”

Vi ricordate di Meguey Baker? Ho parlato di lei nel mio piccolo saggio sulla storia degli strumenti di sicurezza: le viene attribuito un concetto fondamentale, la distinzione tra l’approccio nessuno sia ferito e l’approccio non ti abbandonerò, da un suo celebre post del 2006. Insieme al marito Vicent ha creato un pilastro come Apocalypse World, e ha continuato a occuparsi di game design.

A maggio 2024 (notizia freschissima, quindi!), sul blog di Lumpley Games (la loro casa editrice), ha scritto un post in cui sostiene che “strumenti di comunicazione” (communication tools) sia più appropriato di “strumenti di sicurezza” (safety tools). È in lingua inglese, ma breve e semplice.

Inutile dire che mi trova d’accordo. Già Chiara Locatelli, nella sua intervista sul mio speciale, aveva espresso una posizione analoga.

Secondo Meg Baker questi strumenti non proteggono da niente, servono solo a facilitare la comunicazione tra persone in buona fede: è la posizione che avevo sostenuto nelle mie conclusioni (riassunte qui) e che ho provato a ribadire un mesetto fa.

Angry contro checklist e questionari

A maggio 2024 è uscito anche un articolo di The Angry GM riguardo la sua contrarietà a quei “questionari pre-gioco di argomenti-tabù” il cui uso si sta diffondendo nella comunità giocante (complici anche testi come Consent in Gaming). È in lingua inglese.

Questo autore, che come sapete è tra i miei preferiti, ha due difetti: è molto prolisso, e adotta di proposito un tono strafottente e sopra le righe. Mi rendo conto che non rendono la lettura troppo agevole. Eppure ve la consiglio. Specialmente l’ultima parte.

Tenete presente che quando parla di Lines and Veils si riferisce, appunto, alle lunghe liste di argomenti da evitare pre-compilate prima di giocare: è il modo in cui Linee e Veli sono, purtroppo, conosciuti oggi dalla maggior parte di chi gioca, benché in origine fossero qualcosa di ben diverso. Probabilmente Angry non ha indagato a fondo su quello: il suo excursus storico all’inizio non lo approfondisce (se volete un resoconto storico un po’ più accurato c’è il mio).

Avendo scritto io stesso delle critiche a questo trend dei questionari pre-gioco, concordo con Angry nella sostanza e sono contento che siamo arrivati a scrivere, in modo indipendente, cose analoghe.

Un nuovo video leggero

Stufi di tanta roba da leggere? In effetti più passa il tempo e più prevalgono altri canali. A marzo 2024, Forum Sententiam ha pubblicato un video, su YouTube, in cui ha citato tra le fonti il mio speciale e l’articolo di Spacerunner che dicevo all’inizio.

Sono molto grato che abbiano citato il mio lavoro. Apprezzo il loro fresco entusiasmo. Trovo positivo che parlino di questi argomenti in modo leggero e non giudicante. Di certo il video è più accessibile di quel “mattone” che è il mio speciale.

Ma confesso di essere un po’ deluso dal fatto che, nel 2024, ancora si mettano Linee e Veli tra gli strumenti di pre-gioco e la Dichiarazione di Intenti tra gli strumenti di sicurezza (cose che entrambi gli autori hanno espressamente smentito), e che si continuino a usare paragoni fuorvianti come quello della cintura di sicurezza o dell’airbag.

Insomma, un buon inizio ma si può fare di meglio.

Critica informata ai trigger warning

Intanto ho scoperto che su La Falla del Cassero, a febbraio 2023 (quindi prima del mio speciale: me l’ero perso!), usciva un articolo di critica ai trigger warning, a firma di Antonia Cassoli. Si tratta del giornale del Cassero LGBTI+ Center, di cui fa parte la Gilda (che ho intervistato): non certo sospettabile di bigottismo e tendenze reazionarie.

È una piccola boccata di ossigeno. Ripercorrendo la storia si vede che anche in questo caso, come in molti altri, un concetto complesso è stato distorto e banalizzato dal passaparola e dalla cultura di massa, fino a diventare inutile o addirittura controproducente.

Tutti gli studi concordano infatti nel ritenere che [il trigger warning per com’è usato oggi, NdR] non abbia effetti positivi, mentre alcuni sostengono che provochi maggiore stress e ansia anche nelle persone che non sono in cura per PTSD [sidrome da stress post traumatico, NdR].

Potreste notare qualche analogia con le mie critiche ai questionari pre-gioco dei temi tabù: per esempio il fatto che, rispetto a di cosa si parla, sia molto più importante come se ne parla, aspetto del tutto trascurato quando ci si trova davanti un “TW” seguito da un secco elenco di parole-chiave, che ognuno si immagina in modo diverso.

Eventi pubblici e panel

Due ottimi esempi di sicurezza nelle convention

Ho partecipato (da Diemme e giocatore) sia alla Total Party Kon! di novembre 2023, della comunità OSR italiana, sia alla FroggyCon di aprile 2024 (quest’ultima ve l’ho raccontata). Non ero tra gli organizzatori, ma ne conoscevo alcuni. Ho apprezzato molto il modo in cui hanno presentato il tema della sicurezza sui loro siti.

Se avete tempo vi consiglio di leggere almeno una di queste pagine (la seconda la trovate anche discussa su questo post della Locanda dei GdR). Dovrebbero essere scolpite nel marmo! Spero che molte altre convention prendano esempio.

Anziché partire subito con un elenco di tool, iniziano mettendo al centro le persone e le loro responsabilità pratiche. E, con grande saggezza, lasciano piena elasticità ai singoli gruppi su come organizzarsi a livello di strumenti, senza imporre obblighi e senza cogliere l’occasione per rifilare gadget.

Ad entrambe le convention mi sono trovato benissimo e non ho visto alcuna situazione allarmante. Eppure, a nessuno dei tavoli a cui ho giocato sono stati usati tool formali… nemmeno in quei casi in cui il GM era una persona che, di solito, ne sostiene l’uso.

Temi sensibili: una conferenza di Red

Il mio speciale era praticamente appena uscito quando, all’evento Il Ruolo del Gioco di novembre 2023, organizzato dall’associazione The Agency di cui faccio parte, c’è stata una conferenza interessante di Francesco “Red” Rossi. Qui trovate le slide:

Sono slide fatte bene, quindi schematiche, non discorsive. Mi rendo conto che si perda molto a leggerle così, senza poter ascoltare la conferenza per intero (peggio per voi, la prossima volta vedete di venire all’evento! 😜).

Il tema centrale era la necessità di informarsi per comprendere in modo approfondito un tema sensibile, prima di portarlo in gioco. Ma non poteva mancare un accenno agli strumenti di sicurezza, e le domande degli spettatori si sono concentrate soprattutto su quelli, segno che c’è grande interesse e voglia di saperne di più. Una buona esperienza.

Sicurezza emotiva: ci voleva più tempo

Al Play di Modena di maggio 2024 ho partecipato al workshop (conferenza interattiva) Sicurezza emotiva al tavolo da gioco, tenuto da Gloria Comandini, e frutto di una collaborazione tra Gondolin APS e Federludo. Purtroppo non ne esiste una registrazione, il massimo che posso offrirvi è un link a un post su Facebook:

https://www.facebook.com/events/1245302356445839

Tra la moltitudine di conferenze sull’argomento (quasi tutte concentrate la stessa mattina, una sovrapposta all’altra…) questa mi aveva attirato perché sembrava avere un’impostazione molto pratica, anziché frontale.

Era indirizzata ai GM in contesti di fiera, e strutturata come un dialogo aperto tra i partecipanti, a partire da 5 casi realmente accaduti (in realtà siamo riusciti a trattarne solo 3, e non mi sorprende: in 50 minuti scarsi è già un miracolo).

Il formato, secondo me, ha funzionato. Partire da situazioni pratiche ci ha obbligato a proporre soluzioni altrettanto pratiche, anziché fare filosofia astratta. Per la gran parte, le proposte erano ragionevoli e trovavano tutti concordi: un’altra conferma del fatto che queste questioni non richiedono particolare erudizione o addestramento. Nei rari casi in cui c’era un disaccordo era semplice articolarlo e chiarirsi, proprio perché ci si basava su una situazione reale.

Devo dire che ho avuto l’impressione (non confermata da un altro partecipante, quindi lascia il tempo che trova) che i momenti meno fertili del workshop fossero proprio quelli in cui si andava a tirare in ballo uno strumento di sicurezza formale, chiamandolo per nome. Tendeva a generare incomprensioni e soprattutto a spostare il punto focale: iniziavamo a parlare dello strumento (che poi ognuno intendeva, nella sua testa, con un’accezione diversa) anziché di come avremmo gestito la situazione specifica.

A parte questo, un esperimento interessante che avrebbe meritato più tempo a disposizione.

Casi concreti e discussioni collettive

Commenti internazionali all’intervista a Ron Edwards

Sul forum Wynwerod, orientato a una comunità internazionale, ho postato la mia intervista a Ron Edwards in lingua originale (qui invece trovate quella in italiano). Ne è nato un piccolo dibattito con alcuni risvolti interessanti. Se sapete l’inglese può farvi piacere recuperarlo.

Riporto solo un passaggio (tradotto) del mio principale intervento:

Non ho problemi con questi strumenti fintanto che li vediamo come un modo alternativo, opzionale, di comunicare. Credo che la maggior parte degli esempi fatti in questa discussione rientri in questa prospettiva. Toccare la X-Card e dire “nah, prendiamo un’altra direzione” non dovrebbe essere diverso dal dire la stessa cosa senza toccare la X-Card; che è quello che preferirei fare, se fossi a quel tavolo, e che mi sentirei legittimato a fare a qualunque tavolo, anche senza alcuno strumento di sicurezza. […]

Non si tratta di una meccanica di gioco, ma solo di comunicazione. […]

In base alla mia esperienza e a quella delle varie persone che ho intervistato, posso dire che non credo che la presenza di un “safety tool” sul tavolo dia una qualche garanzia che quel tavolo sia più consapevole, più attento o più sicuro rispetto alla media, neanche di un pochino. Possono simboleggiare che quelle persone condividono certi valori e una certa cultura (o meglio, che questo è ciò che credono o che sostengono): e va bene selezionare un tavolo per quella ragione. Ma non c’è un legame automatico con la vera sicurezza in corso di gioco.

Rialzarsi comunicando: un racconto di Eujohn

Eujohn ha raccontato sulla Locanda dei GdR un momento di difficoltà avvenuto al suo tavolo. Saltate pure la parte iniziale di convenevoli: potete cominciare dal terzo paragrafo.

Nel titolo parla di “inciampo” ma sono convinto che sia, in realtà, un esempio splendido di ottima gestione della sicurezza attraverso la comunicazione.

[…] In questo aneddoto non c’è nessuno strumento di sicurezza, ma c’è attivo impegno per garantire la serenità di tutti al tavolo: […] è bastato parlare di quel che è successo, proporre soluzioni e tenere come prima priorità il benessere di tutte le persone coinvolte.

Anche Reddit ogni tanto ha roba buona

Risale a circa 4 anni fa questa discussione su Reddit, in lingua inglese in cui si confrontavano i contenuti, in materia di sicurezza, di vari manuali di GdR (vedasi anche la prossima sezione). Non è niente di che (la linko solo per riferimento), ma due commenti in particolare meritano una menzione (e traduzione).

Il commento dell’utente LetMeOffTheTrain è molto interessante:

[…] I tool non fanno altro che darci un linguaggio per discutere regole che dovrebbero già esistere. Di per sé il tool non fa niente, e se i giocatori non rispettano le regole senza i prop [gingilli fisici sul tavolo, NdT] non lo faranno neanche con i prop.

[…] Ho giocato con un gruppo di tizi di mezza età che “non avevano tempo per quella robaccia da attivisti” e deridevano apertamente Linee, Veli e X-Card. Ma se chiunque è a disagio con un argomento, quell’argomento viene tolto dal gioco. […] Se una persona dice “aspettate, sono proprio a disagio con questa cosa che è appena successa” nessuno ha problemi a ritrattarla. Facevano già tutto questo. Il loro atteggiamento è più tipo: “Sul serio c’è bisogno di una card speciale per questo?”

Al contrario, ho avuto un altro gruppo che era INCREDIBILMENTE devoto ai safety tool eccetera. Abbiamo fatto la discussione di linee e veli pre-gioco, avevamo la X-Card, erano fortemente inclusivi. […] Una giocatrice ha deciso di punto in bianco che uno dei veli doveva diventare un riflettore acceso su cui incentrare drammaticamente l’intera sessione […] e il gruppo non ha fatto niente. Il GM non è intervenuto, il giocatore [che aveva messo quel velo, NdT] non voleva fronteggiarla […].

I tool non dovrebbero aggiungere niente al gioco che non ci fosse già, a parte un linguaggio migliore per discutere […].

(traduzione mia)

D’altra parte vale la pena considerare anche la risposta di RedGlow82:

[…] Io continuo a valutarli molto positivamente per alcune ragioni:

  • segnalano alle persone al tavolo che certi aspetti della conversazione vengono considerati
  • offrono un punto di appoggio a certe persone che altrimenti potrebbero sentirsi pressate socialmente a non parlare, o che non possono parlare per altre ragioni
  • la presenza del tool spesso aiuta a rilassarsi ed essere più a proprio agio
  • in generale dovremmo chiedere alla community BDSM quanto sono importanti le parole d’ordine per la sicurezza
(traduzione mia)

Potete ritrovarci molte cose che ho esposto nell’excursus iniziale del mio speciale e a cui ho cercato di rispondere nelle conclusioni (in particolare sul punto del BDSM).

Altre discussioni Reddit sul tema, magari un po’ meno “pulite” e costruttive, sono questa, questa e questa, se proprio ci tenete. Nell’ultima c’è in particolare questo commento: “In my experience the people who shit on safety tools are the people who would get the tools used on stuff they pull” = Nella mia esperienza le persone che disprezzano i safety tool sono quelle che li vedrebbero usati sulla roba che dicono. Notate come sottintende una colpevolizzazione morale non solo di chi non vuole usare gli strumenti, ma anche di chi ne fa scattare l’uso durante il gioco! Un pensiero dannosissimo (in soldoni: se qualcuno usa la X-Card su quello che hai detto vuol dire che ti sei comportato male e dovresti vergognarti) che finisce per scoraggiarne l’utilizzo e quindi, di fatto, vanificarli. È bene sapere che questo tipo di mentalità esiste.

Sessione zero e poi il disastro (una campagna andata storta)

Sempre su Reddit (in inglese), circa un mese fa, è comparsa questa piccola perla, un esempio concreto pieno di risvolti interessanti. Un gruppo ha organizzato una campagna di Monster of the Week (un gioco PbtA, di quelli che, secondo alcuni, sono a prova di bomba rispetto al “tradizionale” D&D). Sono stati presi tutti i provvedimenti possibili: sessione zero con discussione aperta sui temi da affrontare e le sensibilità individuali, X-Card e altri strumenti di sicurezza sul tavolo. Sulla carta, doveva andare tutto bene. Invece…

Di comune accordo, uno degli “archi” della campagna riguardava la possibile redenzione di un PG parzialmente mostruoso, e combattuto tra le sue due identità; cosa supportata dal regolamento con un “libretto” (sorta di classe) apposito.

[…] Cinque mesi e diciotto sessioni dopo, […] un giocatore dice, fuori dal personaggio, che non vuole più nel gruppo il PG [mostruoso]; pensa che abbia superato troppi limiti, usato troppa gente, e trova profondamente spiacevole che si discuta della redenzione di un soggetto del genere.

Ammetto che avevo notato qualche attrito un paio di volte. […] Avevo ripetutamente interpellato i giocatori, assicurandomi che tutto ciò che avveniva nella giocata fosse okay per loro. Mi avevano detto di sì. Ora invece mi dicono […] che l’intero concetto è stato frustrante per [alcuni di] loro sin dall’inizio. Perché non lo hanno detto in sessione zero? “Perché tutti gli altri sembravano così eccitati dall’idea…” […]

(traduzione mia)

Eppure, we did everything you’re supposed to do, abbiamo fatto tutto quello che dovevamo, si lamenta l’autore!

[…] Non so cos’avrei potuto fare di diverso. […] Ora ognuno è arrabbiato con gli altri […] e l’intero gioco potrebbe morire e sprofondare.

[…] Qual è il punto di creare tutta questa cultura intorno ai safety tool se poi i giocatori sono troppo restii al conflitto per usarli? […]

(traduzione mia)

Eh. Me lo sono chiesto anch’io.

Quasi tutta la discussione che segue (come d’altronde il post) si incentra su due sole prospettive: ingegnerizzare una soluzione attraverso altri tool, procedure eccetera; oppure ribadire l’ovvio, cioè che nessun tool del genere può funzionare se alla base non c’è l’onesta volontà di comunicare.

Nessuno sembra notare che quest’ultima, in molti casi, potrebbe invece funzionare benissimo senza i tool. Ma soprattutto nessuno si domanda se non siano i tool stessi (o meglio, il modo prevalente in cui vengono propagandati e diffusi oggi) a contribuire a un clima di evitamento che ostacola la comunicazione più di quanto non la semplifichi.

Due esempi… da manuale (Monsterhearts e Mothership)

Sempre più manuali di GdR includono una sezione sulla sicurezza. Si può discutere a lungo se questa sia una buona idea e se sia addirittura doveroso (ne riparleremo). Ma è interessante, in ogni caso, vedere cosa viene scritto. Nel mio speciale avevo fatto qualche esempio. Ne sono stati portati altri alla mia attenzione, in particolare due.

La guida Safe Hearts, scritta nel 2017 da Avery Alder per il suo Monsterhearts, e se non sbaglio inclusa nella sua seconda edizione, presenta la questione sicurezza in modo un po’ prolisso, ma molto attento, e benché menzioni di sfuggita un paio di tool formalizzati ne chiarisce in modo inequivocabile la natura opzionale e ancillare di puro sostegno alla comunicazione.

[…] Può essere davvero utile parlare dei propri confini in anticipo […]. Dichiarare i confini prima di iniziare a giocare non sostituisce il fatto di rivalutarli continuamente durante la giocata. […]

Avete trascorso l’intera vita dotandovi di strumenti e strategie per esprimere i vostri limiti e mantenervi al sicuro. Non sentitevi limitati dall’usare strumenti e meccaniche introdotti al tavolo di gioco. […Essi] esistono per renderti più facile comunicare i vostri confini, non per rimpiazzare le tecniche che già conoscete e usate. Il loro principale punto di forza […] è che forniscono al gruppo un linguaggio comune per affrontare i problemi. […]

(traduzione mia)

Un linguaggio comune, a common language: la stessa cosa che mi ha detto Ron Edwards, ricordate? Non una regola, o un automatismo.

In Mothership (gioco di fantascienza a tinte horror, pubblicato nel 2018), Sean McCoy riesce a fare una spiegazione davvero splendida e cristallina, senza menzionare o proporre nemmeno un tool formale. Leggetela tutta, se potete.

Il suo aforisma centrale è: safety in gaming is about hospitality – la sicurezza nei giochi è questione di ospitalità. Cosa vuole dire?

[…] Se vi invitassi a cena a casa mia, farei attenzione alle vostre restrizioni alimentari. […] Sapreste che non verreste derisi o umiliati dagli altri per il vostro aspetto, per come vi vestite, per quello in cui credete. […] Insomma, sotto il mio tetto farei tutto ciò che posso per assicurarmi che siate al sicuro.

E non sempre andrebbe per il verso giusto. A volte mi accorgerei solo in un secondo momento che ho detto, o qualcun altro ha detto, qualcosa di stupido o privo di tatto. Sperabilmente chiederemmo scusa e cercheremo insieme di far sì che non ricapiti. Ma accettiamo tutti che queste cose possono succedere, perché vogliamo stare con altri esseri umani e non pretendiamo da loro la perfezione. […]

(traduzione mia)

Se avete letto il pezzo di The Angry GM noterete delle forti somiglianze.

Probabilmente, come accade non di rado nel nostro hobby, c’è più convergenza tra tutti noi nella sostanza di quanta non ve ne sia se ci si ferma alla forma (cioè al gergo e ai simboli).

In effetti (come faceva notare Pedro Celeste sul gruppo Telegram Ruling the Game), se siamo in grado di organizzare una cena (o di prendervi parte) comportandoci da persone decenti, senza bisogno di “strumenti” appositi, è ragionevole che possiamo fare lo stesso per una partita di un gioco da tavolo.

4 pensieri riguardo “Il Dopospeciale (torniamo al sicuro, parte 4)

  1. Volevo scrivere qualcosa, ma non so che cosa, visto che sono pienamente d’accordo su tutto quello che ho letto…

    Beh, almeno faccio capire che continuo a seguire con interesse ^_^

    Ciao 🙂

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