Sei gradi di rappresentazione, parte 5: conclusione

Non credo che la disabilità in senso lato entrerà mai nelle regole ufficiali di D&D. E non perché la Wizards o the Coast o comunità giocante sia abilista e discriminatoria, ma perché non sarebbe possibile generalizzare il grado di rappresentazione.

Adottare il grado 0 come default universale rischierebbe di attirare l’accusa di voler nascondere la disabilità rendendola solo un orpello estetico e ignorandone tutte le implicazioni. D’altro canto, adottare un grado superiore richiederebbe di definire delle regole, che dovrebbero essere diverse per ogni specifica forma di disabilità (e sono tantissime), e giocoforza dovrebbero essere schematiche e semplificate, come tutto in D&D, col rischio di urtare la sensibilità di chi trovasse quella semplificazione distorcente o eccessiva.

Quello che però può fare la Wizards, come pure le varie aziende e i vari autori che pubblicano materiale su D&D in modo indipendente, è lavorare sul lato dell’estetica, normalizzando il più possibile la presenza di ogni tipo di diversità, ivi inclusa la disabilità, nell’immaginario fantasy di D&D.

L’implementazione nel gioco, invece, è un lavoro più certosino, da ritagliare caso per caso.

L’opera di Sara Thompson, che abbiamo visto nella parte 1, è sia un buon contributo all’ampliamento dell’immaginario sia un buon esempio di possibile implementazione, per una forma specifica di disabilità e con uno specifico approccio.

Ricordiamolo: questa serie di articoli non riguarda solo la disabilità, si estende a qualunque tipo di diversità individuale che si voglia rappresentare in D&D. A chiunque di noi Diemme può capitare di farlo. Come abbiamo visto è indispensabile tener conto della specifica forma di diversità da rappresentare, dello specifico mondo di gioco e, soprattutto, delle necessità e aspettative dei giocatori coinvolti.

La conoscenza dei sei gradi di rappresentazione (vedi parte 2) ci aiuta in tre modi.

Primo, quando un Diemme si trova a progettare la rappresentazione di una qualunque diversità nel suo gioco, è importante che sappia inquadrare il grado di rappresentazione desiderato e che ne conosca le implicazioni.

Secondo, quando un giocatore propone al Diemme una diversità con cui vorrebbe caratterizzare il suo PG, capire insieme al giocatore quale grado di rappresentazione ha in mente è un ottimo punto di partenza. Bastano poche domande:

  • Vuoi che abbia un impatto sulla scheda del tuo personaggio? Se sì, di che genere?
  • Vuoi che abbia un impatto sulle tue possibilità di scelta quando interpreti il personaggio? Se sì, quale?
  • Vuoi che il mondo di gioco reagisca in modo specifico a questa diversità? Se sì, come?

Naturalmente i dettagli richiedono accurate valutazioni da parte del Diemme, ma farsi un’idea di cosa abbia in mente il giocatore su questi 3 punti fa la differenza.

Terzo, ma non per importanza: quando discuteremo pubblicamente di tematiche quali, ad esempio, i personaggi con disabilità, e magari vorremo rispondere a qualche contestazione o commento superficiale, potremo farlo con la consapevolezza di quanto sia complesso e sfumato l’argomento, quindi senza dare giudizi affrettati.

Un attivista è più credibile se dimostra una conoscenza seria non solo della questione sociale per cui si batte, ma anche del contesto o medium di cui sta parlando di volta in volta. Ovviamente non si può essere esperti di tutto. Ma cominciare un post con “Io non gioco a D&D e non sono un nerd, ma…” diciamo che non è il migliore dei biglietti da visita.

Spero che la lettura di questo articolo vi abbia aiutati a realizzare meglio la complessità della questione, e magari che vi abbia messo la voglia di dare il vostro contributo. Non tanto su Internet, ma nelle vostre campagne di D&D: nel buon vecchio gioco di tutti i giorni!

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