Come condurre il gioco in modo che tutti abbiano spazio, evitando di focalizzarsi su un solo personaggio, spezzando le scene al momento giusto nel caso di un gruppo che si è separato, eccetera?
All’evento di beneficenza Il Ruolo del Gioco 2022 mi hanno invitato a parlare a una tavola rotonda dove uno dei temi era proprio questo.
Il destino beffardo ha voluto che pochi giorni dopo io mi sia trovato, da Diemme, di fronte a un problema di quel tipo proprio al mio tavolo. Una situazione veramente istruttiva (amo circondarmi di giocatori che mi possano insegnare cose nuove). Ed è così che questo articolo, che doveva essere solo una “pillola”, si è espanso fino a diventare bello corposo.
L’evento privato
Al mio tavolo ho quattro giocatori. I loro PG stanno esplorando un dungeon con una missione: trovare un’alga utile come ingrediente di pozioni e rituali.
Incontrano una salita molto ripida in un cunicolo. Aiutandosi con una corda possono tutti superarla senza difficoltà, ma l’asino da carico che hanno con sé rischierebbe di azzopparsi. Lo dico. Ne parlano un po’ e decidono di dividersi: i PG che chiameremo Tre e Quattro salgono in avanscoperta, mentre Uno e Due restano giù con l’asino.
Da quel momento la mia “inquadratura” segue Tre e Quattro. Percorrono un cunicolo, scelgono una via a un bivio, e trovano una caverna con al centro una formazione dell’agognata alga. Entrano per prenderla, e… zac! Si vedono piovere addosso un nugolo di insidiosi uccelli stigei, nascosti tra le stalattiti del soffitto.
Avverto che possono gridare forte, allertando i loro compagni, ma se lo fanno (in base alle regole che ci eravamo dati) si innescherà un tiro per gli incontri casuali. Decidono di non gridare e di combattere le bestiacce da soli. Lo scontro prende un bel po’ di tempo (complice il fatto che purtroppo, come faccio spesso, sto playtestando delle regole nuove con cui ci dobbiamo tutti impratichire). Finalmente riescono ad allontanare un attimo i mostriciattoli e si danno alla fuga, tornando indietro.
A questo punto gli altri giocatori chiedono di “ruolare” ciò che hanno fatto i loro personaggi nel frattempo. Io e gli altri accettiamo. Inizia così una scena in cui Uno e Due fanno una chiacchierata. Siccome Due è un incantatore, Uno gli chiede perché non abbia un famiglio, e se abbia intenzione di averne uno in futuro; da lì giungono a parlare delle implicazioni sia pratiche, sia etico-morali della cosa; quando qualcuno è in dubbio su come funzioni nel mio mondo mi chiede delucidazioni, e gliele do.
Poi faccio arrivare gli altri due PG e il gioco continua. A fine sessione c’è un chiarimento. Il giocatore di Uno fa notare che si è annoiato e chiede una maggiore parità di screen time: a suo avviso, avrei dovuto “spezzare” la scena di Tre e Quattro alternandola con momenti della chiacchierata tra Uno e Due. Il giocatore di Due afferma che, per il suo modo di intendere il gioco, scene come quella della chiacchierata possono essere utili per “esplorare” il proprio personaggio.
Ovviamente mi scuso e prometto di farci più attenzione in futuro. In genere mi impegno molto a bilanciare la spotlight dei giocatori. Perché, mi chiedo, in questo caso non mi è venuto di farlo? Secondo voi? Provate a rispondere, prima di andare avanti nella lettura.
L’evento pubblico
L’evento Il Ruolo del Gioco è organizzato a Marina di Pisa dall’associazione The Agency (Instagram: @the_agency_italia), in collaborazione con Croce Rossa Italiana e con UNICEF, per la Giornata internazionale per i Diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Quella di Novembre 2022 è stata la seconda edizione. Ho partecipato innanzitutto come Diemme (un giorno vi racconto la giocata!), ma sono stati così gentili da invitarmi anche come ospite alla tavola rotonda del sabato, brillantemente moderata dall’educatrice e divulgatrice Giulia (su Instagram @roll4education).
Uno dei temi era quello di cui stiamo trattando adesso. Secondo me è più complesso di quanto si pensi, perché in realtà, quando parliamo di spotlight, parliamo di (almeno) due cose diverse.
Ho provato a spiegarlo nel mio intervento, ma temo di non essere stato molto chiaro. Un po’ sarà stata la mia goffaggine nel parlare in pubblico (specie davanti a delle… brrr… telecamere). Ma credo che fosse, innanzitutto, un discorso troppo difficile per quell’occasione, dati anche i tempi ristretti. Vediamo se qui riesco a farmi capire meglio.
Un’avvertenza
Finché ragioniamo di regole, metodi e meccaniche è tutto relativamente oggettivo e razionale (sì, perfino quando sono coinvolti i dadi… se li lasciamo fare). Interfacciarsi con le persone, invece, ha una forte componente soggettiva e induttiva. Possiamo seguire dei princìpi, comunicare bene, essere empatici, ma sarà sempre (in parte) un muoversi a tentoni e richiederà un continuo adattamento.
Prendete quindi con le molle ogni consiglio in materia, mio in primis, stando attenti a non generalizzarlo troppo: alla fine, ogni persona è un caso a sé.
Quale spazio?
Nella scorsa sessione, Bruno ha fatto un lungo monologo in cui ha descritto il suo PG raccontare, al fuoco di bivacco serale, un drammatico evento del suo passato che lo ha segnato profondamente e lo ha spinto a diventare l’avventuriero che è ora.
Anna, invece. ha parlato solo poche volte e per una manciata di secondi. Ma è stato il suo PG a sgattaiolare non visto alle spalle dei guardiani, scassinare la serratura e prendere la gemma preziosa, mentre quello di Bruno faceva solo da palo.
Secondo voi chi, tra Anna e Bruno, ha avuto “più spazio” nella giocata?
Si dice spesso che tutti devono avere la stessa quantità di spazio, risalto, partecipazione al tavolo da gioco. Ma ai tavoli di D&D e similari un giocatore può “partecipare” almeno in due modi, o meglio, a due livelli.
Primo livello:
Incidere sugli esiti della vicenda attraverso le azioni e le scelte del suo PG. Insomma, contribuire al gioco usando il gioco, o dicendo e facendo cose che hanno delle conseguenze concrete sul gioco. Ha molto a che vedere con quella che chiamiamo agency.
Secondo livello:
Esprimersi descrivendo e raccontando cose. Insomma, esternare la propria creatività, mostrando, nel contesto del gioco, elementi che non sono necessari per il suo funzionamento ma sono finalizzati all’arricchimento emotivo, estetico o artistico dell’immaginario associato.
Evitiamo gli equivoci
Ho notato che è molto difficile spiegare questa differenza: una fetta consistente delle persone, nel nostro ambiente, fatica ad afferrarla. Permettetemi quindi un po’ di chiarimenti.
Non c’entra la distinzione tra giocatore e PG
Non è che uno dei due “livelli” sia la spotlight del giocatore e l’altro quella del personaggio. In entrambi i casi si parla di giocatori, e in entrambi i casi la loro partecipazione avviene attraverso i loro PG.
Se proprio vogliamo, la distinzione è tra pratico ed estetico, tra portare avanti la giocata e “colorarla”, usarla come spunto per creare e vivere emozioni che non hanno ricadute concrete su di essa.
Non riguarda il modo di comunicare
Non si tratta neppure di distinguere tra parlare in character o out of character. Riguarda che cosa viene comunicato, non come.
Le azioni del PG di Anna sono “primo livello” sia che le descriva in prima persona e in modo appassionante, sia che le descriva in terza persona in modo freddo e tecnico. Il monologo del PG di Bruno è “secondo livello” in prima persona. Un tipico “secondo livello” in terza persona è la descrizione di come appare esteriormente il proprio PG.
Non è questione di tirare i dadi
Le meccaniche di gioco servono a risolvere quelle azioni e quei conflitti che comportano rischi e conseguenze. Se il sistema è progettato bene è ben difficile che vengano usate durante la partecipazione di “secondo livello”.
Non vale però il viceversa: esistono un sacco di interventi di “primo livello” che si risolvono senza bisogno di ricorrere ai dadi (come sanno bene gli adepti della Vecchia Scuola). Quindi non sono i dadi il discriminante.
È comunque gioco collaborativo
Quando ho parlato alla tavola rotonda, Andrea “Master of Masters” Rossi (con mia sorpresa) ha reagito in modo negativo alla parola incidere scambiandola, direi, per un sinonimo di imporsi, prevaricare, non collaborare, voler vincere a tutti i costi o roba del genere.
Ovviamente non è così: il GdR è sempre stato, per me, un’esperienza assolutamente collaborativa, e quelli che ho descritto sono proprio due modi diversi in cui un giocatore può partecipare insieme agli altri al tavolo.
L’accaduto conferma, casomai ce ne fosse bisogno, che quando si comunica con gli altri il malinteso è sempre dietro l’angolo (perfino per un esperto come lui, che dice di poter inquadrare e capire, sin dai primi momenti, ogni nuova persona che si siede al suo tavolo; sarà vero, ma speriamo che quella persona non si azzardi a dire incidere 😆).
Come si bilancia la spotlight?
Bel discorso, mi direte voi… ma a cosa serve? Nella pratica, come si risponde all’esigenza di dare pari risalto a tutti?
Risposta banale: un po’ per uno
La verità è che, senza le considerazioni che ho fatto, ottenere quella parità (almeno in prima approssimazione) sembrerebbe ovvio e lo sappiamo sin da bambini: basterebbe fare a turno.
Non a caso il nostro D&D, là dove ha regole più complesse e strutturate (il combattimento), prevede esplicitamente un ciclo di turni. Se necessario lo si può trasportare anche in altre situazioni: esplorare a turno, dialogare a turno, eccetera. Sul serio, a volte l’ho fatto.
In genere, comunque, basta un po’ di attenzione da parte di noi Diemme: una volta che i giocatori più “attivi” o propositivi hanno parlato, prima di risolvere cosa succede possiamo interpellare direttamente quelli rimasti in silenzio, chiedendo cosa ne pensano, cosa vuole fare il loro PG nel frattempo, e simili.
Tutto qui…
Ma non è così semplice
Questa cosa, però, a quale livello di partecipazione va applicata? Al primo? Al secondo? Ad entrambi, ma separatamente? All’insieme dei due? È qui che la faccenda si complica.
Uno dei princìpi che seguo quando mastero (il principio del Diemme #6, nelle mie Tavole, almeno nella loro attuale revisione 2.2) è questo:
Garantisci a tutti pari opportunità di contribuire al gioco.
corredato da questa nota esplicativa:
Fai del tuo meglio affinché ogni giocatore abbia pari opportunità di dare un contributo attivo al raggiungimento degli obiettivi.
Quando l’ho scritto non avevo ancora pensato a questo articolo, né partecipato a quel talk, né avuto l’esperienza in sessione che vi ho raccontato qui. Eppure… ora capite perché, diversamente dal solito, mi è venuto spontaneo focalizzarmi solo su Tre e Quattro senza fare a turno con Uno e Due? Solo Tre e Quattro stavano facendo qualcosa che poteva avere conseguenze concrete per gli obiettivi della giocata.
Necessità ed esigenze
La partecipazione di “primo livello”, infatti, è fondamentale per l’atto stesso del giocare. Provate a pensarci: se tutti facessimo solo “secondo livello” non faremmo che arricchire di profondità e dettagli quello che in pratica è un fermo-immagine statico. In effetti, il gioco non servirebbe: quella cosa si può fare benissimo anche senza.
Perciò, un’equa ripartizione della partecipazione di “primo livello” è molto auspicabile. Come minimo, il gioco (e il Diemme, sia nel progettare l’avventura, sia nel decidere chi “inquadrare” e quando) dovrebbe garantire che tutti abbiano le stesse opportunità di dare questo tipo di contributo; se poi scelgono di non usarle è un altro discorso.
Giochi come D&D hanno delle strutture per promuovere questa parità: non solo la turnazione in combattimento, ma anche, per esempio, il fatto che le classi di personaggio occupino “nicchie” differenti con le loro capacità, e quindi si possano alternare momenti in cui “brilla” l’uno o l’altro.
La partecipazione di “secondo livello” non ha queste caratteristiche. Eppure preme molto a diversi giocatori; ad alcuni addirittura più di quella di “primo”. Per cui sentono l’esigenza di pari opportunità e pari “spazio” anche qui; un’esigenza complessa da soddisfare, per il Diemme, visto che la struttura di gioco non può dargli alcun sostegno.
Soluzioni (troppo) drastiche
C’è un diamante prezioso in fondo a un pozzo. Un PG scende a recuperarlo sfidando la morte e l’ignoto mentre gli altri, non volendo rischiare, rimangono sul prato a fare un picnic. Tutte scelte legittime. Ma ha senso dedicare lo stesso screen time all’impresa nel pozzo e al picnic? D&D non è forse un gioco di avventura?
Un Diemme “duro e puro” potrebbe dire: la partecipazione di “secondo livello” è lecita, certo, ma di per sé non assicura nessuna spotlight. Vuoi lo screen time? Beh, fai agire il tuo PG, fagli fare qualcosa con delle conseguenze rilevanti per la giocata, e l’avrai.
Una posizione un po’ drastica. Se alle persone al tavolo fa piacere la scenetta del picnic, c’è davvero bisogno di opporsi? Per il Diemme sarebbe perfino riposante: può lasciarle parlare e basta. Qualcuno si annoia? Beh, gli altri, a buon diritto, potrebbero ribattere che si annoierebbero a non farla. Chi ha ragione?
Un Diemme molto più “morbido” penserebbe: perché stabilire priorità? Diciamo solo che tutti hanno diritto allo stesso tempo: se Tizio ha parlato 5 minuti, ora ne spettano 5 a Caio. Ognuno li userà per la partecipazione che vuole: “primo livello”, “secondo livello” o qualunque mix dei due. Il Diemme se ne lava le mani e guarda solo l’orologio. Tra l’altro questo potrebbe servire sia a tenere a freno il giocatore logorroico sempre in cerca di attenzione, sia a invogliare i giocatori più… taciturni ad “aprirsi” e parlare di più.
Anche questa, benché non lo sembri, è una posizione estrema. C’è il forte rischio che si vadano a svolgere in parallelo due, tre o più giocate indipendenti, quasi a giochi diversi, che non hanno significative ricadute l’una sull’altra e si rubano solo tempo a vicenda.
A calcetto, tecnicamente non c’è nessuna regola che obblighi i giocatori a interagire con la palla. Magari Marco e Matteo neanche la toccano e si mettono a bordo campo a giocare con le bambole. Legittimo. Ma ha ancora senso dire che stiamo giocando insieme? Stabilire che, per una quota proporzionata di tempo, tutti staremo fermi a guardare loro e le loro bambole, e in cambio per il resto del tempo loro staranno fermi a guardare noi dare calci alla palla, risolverebbe qualcosa o sarebbe solo una… palla al piede per tutti?
Le mie raccomandazioni
Provando a essere ragionevoli e accettare la complessità delle cose (che è quello che consiglio), ecco le mie opinioni.
Partiamo dal primo
La partecipazione di “primo livello” – scelte e azioni del proprio PG che hanno conseguenze concrete sul mondo di gioco – va considerata un diritto e un dovere dei giocatori (come d’altronde del Diemme, a suo modo e con mezzi diversi).
Quindi è giusto, come ho detto prima, che tutti abbiano pari opportunità di contribuire in questo modo. Assicurarsene dovrebbe essere compito di tutto il tavolo, ma per ovvie ragioni ricade in primo luogo sul Diemme e sul sistema di gioco.
Ed è anche giusto che ogni giocatore si ricordi, per quanto possibile, di far andare i suoi contributi in questa direzione. Il Diemme non deve forzare nessuno, sia chiaro, ma ogni tanto può valer la pena rammentare, in modo amichevole, qual è lo scopo del gioco.
Rispettiamo il secondo
La partecipazione di “secondo livello” – descrivere / esternare elementi non necessari alla giocata ma utili per il suo arricchimento emotivo, estetico o artistico – è a sua volta un diritto dei giocatori (e del Diemme).
Non tutti hanno la stessa esigenza di contribuire così, ma se qualcuno ce l’ha è giusto rispettarlo e lasciarlo esprimere nel suo stile. Naturalmente sta a lui, e a tutto il tavolo, assicurarsi che la cosa sia fatta con la giusta moderazione, e non sfugga di mano andando a interferire con il focus del gioco.
Rispettiamo chi al secondo non prende parte
Da giocatore, in genere sono taciturno: parlo quando ho qualcosa di utile da dire. Una delle cose più fastidiose che ho visto capitare ad alcuni tavoli, e talvolta a me di persona, è il Diemme che ti sprona a parlare di più, a infiocchettare le descrizioni, ad aggiungere emozioni e particolari non necessari. Tipica domanda che mi manda nel pallone: “Come si sente il tuo PG di fronte a questo?” (la risposta onesta sarebbe: “Ma cosa te ne importa? Non importa neppure a me!” 😄).
La partecipazione di “secondo livello” non è un dovere, è opzionale. Se un giocatore non vuole indulgervi, o vuole solo in dosi molto modiche, ciò è del tutto legittimo e non danneggia il gioco in alcun modo. Non vuol dire che non è interessato, non si sta divertendo o “non partecipa”!
Impariamo, per favore, a distinguere tra il giocatore timido, che vorrebbe parlare di più ma si vergogna, è inibito, e quindi va aiutato ad aprirsi, e il giocatore che vuole solo concentrarsi sulla parte concreta del gioco (che non vuol dire “tirare dadi”, non c’entrano un tubo i dadi!) e va rispettato nella sua scelta, come lui rispetta quella degli altri.
Aneddoto. Ho visto un video su Instagram in cui si dava al Diemme questo consiglio: se un giocatore è “troppo silenzioso” e non “sembra coinvolto”, prova a chiedere a lui di descrivere il luogo in cui si trova, o il PNG che ha appena incontrato. Ora, se per voi e i vostri giocatori funziona, chapeau. Vi avverto però che, se fossi io quel giocatore, non solo questa mossa non sarebbe utile ma lo troverei perfino fastidioso. Intanto, sono silenzioso di natura e se taccio non vuol dire che non mi senta coinvolto. In secondo luogo, quello di cui ho bisogno per sentirmi coinvolto è che il mio PG abbia la possibilità di fare qualcosa di concreto per cambiare la situazione in cui si trova: se al posto di questo mi offri di descrivere una roba (tra l’altro, quindi, facendomi fare il tuo mestiere al posto tuo 😆) mi potrei sentire leggermente preso in giro.
Per approfondire:
Con meravigliosa sincronia, a fine 2022, dopo che avevo partecipato a quella tavola rotonda e mentre stavo scrivendo questo articolo, sia sulla Locanda del Drago Rosso (il podcast di Andrea Lucca, che ho avuto il piacere di intervistare) sia sulla Locanda dei GdR (il forum di Ranocchio… e avevo intervistato anche lui) si sono affrontati due temi abbastanza vicini a questo e vicini tra loro, anche se non del tutto. Sono intervenuto in entrambe le discussioni, e mi hanno dato ulteriori spunti di riflessione.
- Nel primo caso il tema era “l’interpretazione” (cioè l’atto del ruolare). Sapete come la penso a riguardo: per me ruolare / interpretare è l’atto di giocare a un GdR, ma molte persone usano questi termini, paradossalmente, per riferirsi (scusate se brutalizzo) a tutto quell’insieme di cose che a loro piace fare mentre lo giocano ma non servono per giocare; cose legittime, il problema è il pregiudizio tossico per cui il “vero” GdR sarebbero quelle.
- https://www.reddit.com/r/locandadeldragorosso/comments/z1myic/s4_e_27_parliamo_giocando/
- https://www.reddit.com/r/locandadeldragorosso/comments/z2o0zv/parliamo_giocando_parliamone/
- https://www.reddit.com/r/locandadeldragorosso/comments/z7n3vh/s4e28_interpretazione_di_gioco/
- https://www.reddit.com/r/locandadeldragorosso/comments/zdxz0n/live_sullinterpretazione_luned%C3%AC_121222/
- Nel secondo caso il tema era “le autorità” (nel senso tecnico delle autorità di gioco e nel gioco), un concetto utilizzato da tempo su Adept Play, in particolare da Ron Edwards (la cui definizione di autorità di gioco è stata tradotta da Ranocchio e discussa). In un commento ho, in effetti, anticipato in un mio commento (poi scorporato come thread a parte) lo stesso esempio di gioco che avete appena letto.
Per quanto riguarda, invece, la tavola rotonda de Il Ruolo del Gioco, qui trovate la registrazione online.
Il suo secondo argomento riguardava la sicurezza al tavolo e la gestione delle emozioni suscitate dal gioco. Su questi temi ho esposto la mia posizione in modo articolato nei miei vari speciali, soprattutto qui:
Altri miei articoli sulle questioni “personali” che riguardano i giocatori si trovano qui: Indice: risorse umane.
Ciao, a volte mi è capitato di trovarmi di fronte a giocatori one show man (erano solitamente DM che portavano i “loro” giocatori ad un evento o torneo) che facevano tutto loro e coordinavano gli altri, come fosse una sorta di metaruolo.
In genere questi giocatori richiedono che il riflettore mantenga su di loro sempre un po’ di luce, magari fioca, ma che vi sia. Fanno fatica a lasciar giocare gli altri, ne soffrono e quando riprendono il controllo te lo fanno notare.
Non so se il giocatore che ti ha fatto quell’osservazione sia uno di questi oppure rendendosi conto che la sua ruolata annoiava i presenti, l’abbia presa come un motivo di orgoglio delle sue capacità interpretative ed abbia posto la questione.
Ma senza voler giudicare una situazione che non ho vissuto, credo che non vi sia una regola, se non quella del buon senso. Ognuno al tavolo vuole divertirsi, ma per farlo deve trovare la giusta alchimia per farlo assieme ad altri. Il DM detta un tono e dei tempi, i giocatori provano a coglierlo, alcuni amano l’action, altri di più il role play, tutti devono collaborare per creare una storia stimolante.
A volte le serate sono mitiche, altre volte un po’ Meh!
E poi pochi pensano al DM, che pure lui vuole divertirsi 😛
Ciao! In questo articolo stavo parlando di una cosa un po’ diversa, ma grazie comunque del tuo contributo, è molto interessante!
Il problema fondamentale è che ciò che facevano Uno e Due era marginale rispetto al momento: la loro interazione poteva essere spostata in qualsiasi altro momento del gioco (mentre stanno tornando alla base, in un bivacco, alla locanda/taverna) e non avrebbe avuta alcuna influenza (giocata, invece, doveva essere prima o poi giocata perché, se non lo si fa tanto per fare, potrebbe cambiare i rapporti tra i PG). È la classica scena che in altri GdR viene chiamata “di riposo”.
Corollario di questa è la classica scena dove A ruola con B ma C si annoia e decide di uccidere qualcuno! Perché così la scena evolve sicuramente in qualcosa che coinvolge tutti (la famosa scena di azione che si dice di inserire quando tutti si annoiano, ma qui era uno che si annoiava). Naturalmente questo causa liti al tavolo, perché è un’azione assurda che (a meno di non essere psicopatici) nessuno farebbe mai.
Ma il problema rimane lo stesso: ciò che facevano Uno e Due (od A e B) sono irrilevanti sul momento quindi lo spotlight tende a rimanere fisso su altro che accade (d’altronde tutti noi abbiamo odiato i film dove sta esplodendo il mondo ed i personaggi si mettono a chiacchierare per mezz’ora senza che succeda niente).
Esattamente come l’esempio che hai portato tu, significa che alla fin fine si sta giocando in due momenti diversi: tanto valeva giocare un giorno con Uno e Due ed un giorno con Tre e Quattro; ottenevi lo stesso risultato, senza che nessuno si annoiasse!
Nel tuo caso specifico la soluzione era evitare che il gruppo si dividesse, ma non è la soluzione definitiva (l’esempio di A, B e C). Credo che in realtà una soluzione vera non esista ma si continuerà ad andare a braccio.
Ciao 🙂
PS: io una volta ho chiesto al personaggio “come si sente”: si era incarnato in un PNG con altri scopi (troppo lungo da raccontare qui) ed una volta tornato nel suo corpo, la domanda era legittima per riprendere le fila del discorso.
Sul PS concordo, certo, se la risposta a quella domanda aveva conseguenze concrete sul gioco era gioco a tutti gli effetti.
Da giocatrice, non ritengo che lo spotlight mi sia dovuto a tutti i costi: se il mio personaggio in quel dato momento non sta facendo nulla di “funzionale alla storia” (leggasi: non ci sono scandali in vista che possono modificare gli equilibri del party), non è indispensabile che ci sia un intervento “attivo” in gioco. La situazione era cmq deferibile in un qualsiasi momento. Dare risalto ai giocatori “in azione”, imho, era la scelta più coerente e narrativamente interessante.
Grazie di questo commento 🙂
Certo che uno e due potevano evitare di rifiutare il “richiamo all’avventura” per semplice paura di azzopparsi! Che pavidi avventurieri! :’D
Scherzi a parte: hanno fatto un calcolo dei rischi e hanno deciso (saggiamente, oserei dire) che non valesse la pena rischiare la salute in quel frangente, col senno di poi, penso che abbiano avuto ragione. Pensa se invece di semplici pipistrelli ci fosse stato, chessò, un serpente gigante mangiauomini dall’altra parte :3
Comunque, articolo molto lucido, concordo con quanto hai scritto. Fra l’altro, dove sarebbe possibile reperire l’intervista che hai fatto con la Locanda del Drago Rosso? Sarei curioso di sentire quello che hai detto di fronte la telecamera! 😀
Vorrei giusto aggiungere una piccola riflessione: non credo ci sia una linea così netta tra il primo e il secondo livello: mi è capito più volte, sia da master che da giocatore, che un’azione particolarmente rilevante per l’evoluzione del gioco portasse a un’emozionante descrizione/narrazione e, viceversa, che una descrizione/narrazione particolarmente emozionante di un giocatore evolvesse inaspettatamente in un’azione particolarmente rilevante per l’evoluzione del gioco. I confini tra i due livelli sono molto più sfumati di quanto si potrebbe pensare, il gioco di ruolo è una strana amalgama di situazioni che evolvo continuamente su più livelli. Grande Giove!
Ciao, la registrazione della live dovrebbe essere qui: https://open.spotify.com/episode/0KTPQM92jorTY6B7ZcY4pR?si=NOuwloYnSXGkh7–u4je1g&utm_source=copy-link
Io però non ho parlato, parlava solo Andrea e rispondeva ai commenti che apparivano scritti in chat; io ho scritto giusto qualche commento qua e là.
Negli altri link al Reddit della Locanda del Drago Rosso, che ho messo in appendice, ho articolato meglio il mio pensiero nella sezione commenti, anche se in maniera un po’ disordinata.
Per quanto riguarda l’ultima parte: avresti voglia di farmi qualche esempio, di entrambe le tipologie? Mi incuriosisce.
Ciao! 🙂
Ti ringrazio per i link, darò volentieri una scorsa ai tuoi interventi! Inoltre, aspetto la registrazione della live de Il Ruolo del Gioco, grazie della precisazione, mi ero confuso!
Parlando della tua richiesta di farti degli esempi, volentieri!
Ne ho molti, ma per amor di sintesi mi limiterò solo a uno per ciascuna delle due situazioni che ti ho accennato:
1) nel primo caso, una giocatrice stava prendendo delle decisioni molto importanti sull’addestramento della propria guerriera: si trattava di scegliere ciò che il personaggio avrebbe appreso nell’arte della sopravvivenza nell’arco di sette giorni, al termine dei quali sarebbe partita una spedizione verso una pericolosa città-cadavere celata sotto una coltre di nubi temporalesche.
Mentre prendeva questa lunga serie di decisioni, che avrebbero determinato se il suo personaggio sarebbe effettivamente sopravvissuto alla spedizione, ha iniziato a descrivere con minuziosa dovizia di particolari svariati aspetti del suo addestramento. Questo sforzo non le era stato da me richiesto, eppure lei si è sentita di farlo, presa da un estro creativo nato spontaneamente dalle importanti decisioni che era tenuta a fare e alle azioni che era necessario svolgere per prepararsi a dovere. Ovviamente sono stato felicemente sorpreso dalla cosa e ho gradito molto.
2) nel secondo caso, una giocatrice che interpretava un tetro emissario stava interloquendo con un bisbetico monaco zoppo e guercio. Non erano conversazioni che avrebbero avuto di per sé un impatto nell’evoluzione del gioco. O almeno, io come master non avevo nessuna “quest” associata a quella conversazione, che avrebbe potuto esserci come no, stavo rispondendo alla curiosità della giocatrice più che altro. Eppure, il personaggio della giocatrice ha iniziato a fare delle ipotesi sulla condizione del monaco, induzioni estremamente lucide su aspetti che, in tutta onestà, non avevo ancora né approfondito né definito (in quanto riguardante aspetti della campagna ancora molto lontani nel tempo e nello spazio). Ma mi sono parse considerazioni tanto buone, che ho deciso che in effetti, le cose si erano svolte proprio come stava ipotizzando la giocatrice. Non ho modificato nulla a posteriori, sia ben chiaro, ma ho creato elementi concreti della narrazione proprio grazie al contributo narrativo della giocatrice, cosa di cui sono stato ben lieto.
Potrei dilungarmi ancora, nel caso chiedi pure!
Ah, se invece ti riferivi alla live de Il Ruolo del Gioco qui a Pisa, dove ho effettivamente parlato, anch’io aspetto la registrazione 🙂
Appena la mettono online vi faccio sapere.