Nessuna bella avventura è mai finita con l’eroe pugnalato a morte da un goblin qualunque. Non vuol dire che non devi permettere a un goblin di uccidere un PG (ai bassi livelli può avvenire, è normale): solo che quel goblin dovrebbe essere qualcuno di speciale: il capo della gang locale, il fedele servitore del mago che domina la zona…
Il discorso viene da uno dei tanti set di “consigli per il bravo Diemme” che ho trovato; l’ho tradotto liberamente dall’inglese (non vi metto il link: dico il peccato ma non il peccatore, a meno che non sia influente e famoso).
In questa serie, come sapete, mi diverto a criticare i consigli che trovo disfunzionali o fuorvianti. Eccone qualche altro, pescato in giro per la Rete:
Il master non deve far morire troppo alla leggera i PG.
Cercate di evitare una morte sciocca o legata alla sfiga.
Se i PG sbagliano qualcosa […] graziateli. Se si comportano in modo stupido […] allora non fatevi problemi.
Chiediti: i PG meritano di tirare le cuoia?
Come avrete intuito, l’argomento di oggi è la morte dei personaggi giocanti. L’articolo è lungo, ma tanto avrete tutte le vacanze di Natale per leggerlo.
Premessa reiterata
Questa serie non mira a giudicare o far sentire in colpa le persone. So che le pratiche di cui parla vengono usate con le migliori intenzioni: ci siamo passati tutti, io per primo. Ma è giusto riflettere sui rischi e le storture che comportano. E, anziché perpetuarle, dovremmo proporre e diffondere approcci più funzionali, là dove esistono.
Un tema “pesante”
In una delle più belle campagne che ho masterato, una PG gnoma è stata uccisa in un sol colpo dal soffio gelato di un drago bianco. La sua giocatrice ci è rimasta molto male. Ci ho parlato, naturalmente, e in apparenza ci siamo chiariti, ma ha preferito non riprendere a giocare, se non in modo sporadico. Non so se quella tragica morte sia stata davvero la causa o più un pretesto (non mi era mai parsa molto motivata), fatto sta che ha continuato a lungo a rinfacciarmela.
La morte di un PG, o peggio ancora lo sterminio di tutto il gruppo (in gergo TPK, Total Party Kill), è indubbiamente tra gli eventi più drastici ed emotivamente impattanti che possono avvenire in una tipica giocata. Per chi vive D&D come un gioco da tavolo (cosa che in effetti è) è la massima condizione di sconfitta. Chi poi lo vive in modo più emotivo (legittimo anche quello) può sviluppare un forte attaccamento al suo PG e avere difficoltà a separarsene.
In una campagna successiva ho proposto a quella giocatrice di tornare e mi ha posto come condizione l’immortalità. Visto che alle mie pacate obiezioni continuava ad insistere, sono stato perfido (lo confesso) e le ho dato ciò che voleva: sin dall’inizio il suo PG ha avuto un artefatto in grado di resuscitarlo automaticamente. Risultato? Dopo pochissimo tempo, il trucchetto di usare il suo PG come kamikaze a costo zero ha stufato tutti, perfino lei; anche dopo aver smesso di farlo, si è appassionata alla giocata molto meno della volta precedente, e ben presto l’ha mollata.
La sconfitta, infatti, è un’eventualità spiacevole ma necessaria. Se le cose non possono andare male, il fatto che vadano bene non si apprezza. Questo gioco richiede una componente di rischio: senza di essa resta solo la noia.
Di cosa parliamo… e come
Visto l’alto impatto emotivo del tema, è difficile che una guida online, un canale, un podcast, o un altro set di consigli rivolto ai Diemme non lo menzioni.
Mi ha colpito innanzitutto come viene trattato: spesso si parla del Diemme che uccide i PG, o viceversa che li risparmia (per non parlare del caso, non raro, in cui scappa lo scivolone e si dice direttamente “uccidere i giocatori” 😅). Molti si concentrano su quali criteri dovrebbe usare il Diemme per scegliere di fare l’una o l’altra cosa (quando essere inflessibili, quando essere “morbidi”, eccetera). Secondo me, questi discorsi portano del tutto fuori strada. Lo stesso vale per quelli, molto fumosi, sulla morte “meritata” e “immeritata”.
Un’altra branca di consigli tratta della gestione “sociale” della cosa, in termini di dialogo coi giocatori. Insomma, il classico “parlatene in sessione zero” più inviti all’attenzione, all’empatia eccetera. Cose che considero giuste, ma migliorabili, perché spesso manca la parte più interessante: come parlarne, e come tradurre in regole quanto deciso.
Infine, c’è il filone dei “condimenti”: modi, approcci, idee che non cambiano la sostanza del gioco ma aggiungono alla morte qualche fattore estetico, emotivo o “narrativo” che si ritiene apprezzabile. Sono fuori tema rispetto a questa serie, ma ne citerò qualcuno in una breve carrellata alla fine.
Non sta a te ucciderli né graziarli
Di solito, da un lato c’è chi spinge all‘indulgenza (a “graziare” i PG in determinate circostanze), dall’altro chi spinge all’intransigenza o addirittura celebra la morte dei PG come qualcosa da ricercare attivamente (vantandosi orgogliosamente del proprio conteggio dei caduti).
Il grosso punto debole che hanno in comune questi approcci è responsabilizzare il Diemme nel modo sbagliato.
La verità, che ben pochi vi dicono, è che non siamo noi Diemme ad uccidere i PG né a graziarli. Non dipende da noi: è semplicemente una cosa che succede, una delle tante conseguenze che possono verificarsi e di cui dobbiamo prendere atto. Il che non significa che non abbiamo nessuna responsabilità: le abbiamo, ma sono parecchio a monte, e concentrarsi sull’evento della morte non aiuta a chiarirle.
In effetti, il miglior consiglio che mi sentirei di dare è proprio creare condizioni tali per cui non ci troveremo mai ad avere la sensazione di dover essere noi a decidere se un PG vive o muore: quella sensazione è un campanello di allarme che qualcosa non va. Utopia? Forse, ma possiamo almeno sforzarci di avvicinarci.
Disgrazia: un colpo di grazia!
Vi siete mai imbattuti nella polemica sul cosiddetto double tapping? Per parlare come mangiamo: è quando un nemico, dopo aver abbattuto un PG, lo finisce infierendo su di lui mentre è a terra. Un colpo di grazia, insomma.
A differenza delle prime edizioni di D&D (e di certe letali correnti della Vecchia Scuola), quelle più moderne hanno via via introdotto delle “reti di sicurezza” perché un PG abbattuto non sia istantaneamente morto, e i compagni abbiano quindi la possibilità di salvarlo… se non cadono anche loro. Il colpo di grazia aggira questa cosa.
Molti giocatori non se lo aspettano; alcuni non lo gradiscono. Il web pullula di polemiche tra chi lo ritiene una mossa perfida e sleale da parte del Diemme, e chi perfettamente lecita. In un sondaggio dell’anno scorso sul forum di D&D Beyond, circa il 60% dei Diemme affermava di non usarla abitualmente.
Secondo me, se durante il combattimento un nemico ha la possibilità di sferrare un colpo di grazia e tu ti trovi a domandarti se sia giusto o sbagliato (da parte tua, come Diemme) farglielo fare, significa che c’è un problema a monte.
Una volta in combattimento, il tuo compito di Diemme è solo di interpretare i nemici nel modo più onesto possibile. Se uno è nelle condizioni di poter freddare un PG a terra, ha un valido motivo per farlo, e pensi onestamente che sia la mossa più conveniente per lui… faglielo fare e basta. Senza paura. Non devi pensare in termini di giusto o sbagliato (se non, eventualmente, dalla sua prospettiva).
E se, come tavolo, non ci piace che questo succeda? La soluzione è altrove, come vedremo.
Parlarne prima, ma per bene
Se il gioco non funziona come vorremmo possiamo sempre cambiarlo. Avere il consenso di tutti sulle regole è essenziale per giocare in modo sano, quindi è un’ottima pratica discutere apertamente in anticipo di ogni aspetto rilevante, tra cui la morte dei PG. Il punto è: in quali termini?
Gradazioni di mortalità
Spesso si parla di giocate “ad alta mortalità” e “a bassa mortalità” mescolando, senza farci caso, due aspetti che invece vanno distinti: quanto è probabile che muoia un PG, e per quali ragioni può morire. Abbiamo (semplificando un po’) queste sfumature:
Chi dice, per esempio, che i PG dovrebbero poter morire contro il mostro finale ma non contro un gruppetto di scagnozzi qualsiasi (vedi citazione all’inizio dell’articolo) forse crede di star parlando della frequenza della morte (punto 1), ma in realtà sta parlando della condizionalità (punto 2): vuole una morte condizionata al drama.
Che va benissimo: ogni tavolo può scegliere liberamente come posizionarsi sia sulla scala 1 che sulla scala 2. L’importante, però, è prendere coscienza di una cosa:
D&D, nelle sue varie incarnazioni (derivati compresi), non copre per intero quelle due scale. Per come è fatto di per sé, la morte dei PG può essere resa più o meno probabile (a seconda dei contenuti che il Diemme inserisce nell’avventura, e di come i PG li approcciano), ma è sempre possibile, e non è in alcun modo condizionata al drama (non deve avere per forza un significato). Questo traspare chiaramente dalle meccaniche. Posizionarsi in una delle due caselle fuori del suo range per poi lamentarsi del suo cattivo game design non ha molto senso.
Meno chiacchiere e più regole
Questo significa che in quelle due caselle non ci possiamo andare? Possiamo eccome. Ma c’è modo e modo.
Se non facciamo niente per cambiare le regole, e ci limitiamo a caricare sul Diemme l’aspettativa di far funzionare il gioco in quel modo lì (che dalle regole non è supportato), stiamo innescando una bomba a orologeria sotto il nostro tavolo.
Quasi nessuno ve lo dice chiaramente ma, una volta trovato l’accordo su come deve funzionare la morte nella vostra campagna, il modo pulito di realizzarlo è attraverso delle regole chiare che rendano quel funzionamento certo, solido, inevitabile.
Volete che la morte sia impossibile? Bene, enunciate una regola apposita. Che ci vuole? Esempio: “qualunque cosa succeda, i PG non muoiono mai, al massimo sono svenuti”. Potete essere più precisi, se avete tempo. Potete anche accordarvi su una spiegazione in world, se volete (tipo: la campagna è ambientata nel Valhalla, dove chiunque muoia dopo un po’ si rialza come se nulla fosse; oppure, i PG sono vittima di una maledizione che ha questo effetto), ma non è essenziale.
Ah, assicuratevi che il gioco abbia ugualmente delle condizioni di sconfitta, insomma, che anche se i PG non muoiono ci sia comunque qualcosa a rischio (una pratica che consiglio in ogni caso, come sapete).
Volete che la morte sia condizionata al drama? Buon per voi, ma non fermatevi lì, lasciando il cerino in mano al Diemme: siate specifici. In quali condizioni, esattamente, volete che possa accadere? Chi stabilisce, e con quale procedura, se valgono quelle condizioni o no?
Una volta che il gioco è iniziato, il Diemme non deve più pensare a queste cose: il suo compito è interpretare i mostri, le trappole, i pericoli in modo onesto e al meglio delle loro possibilità, e applicare le regole come sono.
Se poi la regola che avete enunciato non vi soddisfa, forse bisogna solo rifinirla un po’… o forse è segno che credete di voler giocare senza la morte, o con solo morti “drammatiche”, ma in realtà non è così.
Resurrezione e cambio di PG
Il magico mondo di D&D prevede, tradizionalmente, la possibilità di resuscitare i morti. Anche questa è una cosa che può variare da una campagna all’altra.
Beh, vale lo stesso schema visto prima: la resurrezione può essere impossibile, difficile o facile, in diverse gradazioni; e può essere possibile solo una tantum, quando valgono determinati criteri di “drammaticità”, oppure essere condizionata solo a fattori pratici e oggettivi, come la spesa di risorse (denaro, gemme, tempo…). Come sopra, qualunque combinazione si scelga, bisogna accertarsi di modificare le regole (se necessario) in modo da realizzarla.
Comunque, se un PG muore e non può resuscitare, il gioco non è finito (se, da Diemme, non avete fatto l’errore di costruire una “trama” preimpostata ritagliata su quel PG… non lo avete fatto, vero?). Basta farsene uno nuovo. Ecco un’altra cosa su cui è utile prendere accordi. Cosa succede a chi cambia PG? Di che livello sarà? Con quale tesoro? Dopo quanto tempo potrà entrare in gioco? Anche queste sono regole.
L’equivoco della morte “immeritata”
Affermare che la morte deve essere “meritata”, o “causata dai giocatori”, è ambiguo.
Se il senso è insinuare che sia compito del Diemme valutare, caso per caso, se i PG si “meritano” di morire oppure no, e decidere in base a questo se farlo avvenire, lo trovo molto inappropriato, come ho detto. E, ovviamente, mi dissocio con forza da qualsiasi visione secondo cui dovrebbe prevenire le morti “dovute alla sfortuna” (magari imbrogliando).
La visione virtuosa, invece, è ribadire che il Diemme ha la responsabilità di fornire ai giocatori informazioni adeguate per rendersi conto dei rischi che corrono. La morte, come qualunque altro esito del gioco, dovrebbe essere conseguenza delle scelte dei giocatori, e queste scelte dovrebbero essere consapevoli (la buona vecchia agency, ricordate?). Non vuol dire che non debba dipendere anche dal caso (anzi, essendo un gioco di dadi succederà di frequente), ma i giocatori dovrebbero avere informazioni sufficienti a rendersi conto che esiste un certo rischio di morte e, possibilmente, a stimarne la probabilità, almeno in modo approssimativo.
Anziché di morte “meritata”, quindi, sarebbe più corretto parlare di morte conseguente all’assunzione cosciente di un rischio.
Condimenti
Se si accetta di avere la morte dei PG al proprio tavolo ma si sente il bisogno di aggiungervi “colore” o renderla “abbastanza speciale” in qualche modo, la Rete è prodiga di consigli.
Uno dei più comuni è enfatizzare la cosa con una descrizione “epica”, magari lasciata al giocatore stesso. O permettere al giocatore di far dire al suo PG le ultime parole prima che tiri le cuoia.
Molto gettonati anche i consigli sul “dopo”: si va dall’impostare una scena con i sopravvissuti che celebrano il funerale del compagno caduto, all’assicurare che il mondo circostante (PNG, società eccetera) reagisca all’evento in maniera evidente.
Sul piano delle regole, ne ho trovata una carina su un Reddit: permette al PG morto di compiere un’ultima impresa (un turno intero) con il suo ultimo fiato. È adatta a campagne dal tono particolarmente eroico. Nell’originale il PG recupera, per quel turno, tutte le risorse spese, come se si fosse riposato completamente. Io questo lo trovo eccessivo; semmai preferirei fargli ottenere automaticamente un 20 naturale a un tiro o una prova di quel turno, come suggeriva un commento su un altro Reddit che non sono riuscito a ritrovare.
Meccaniche alternative
Malgrado tutto ciò che ho detto siete comunque decisi a mettere un freno alla morte nelle vostre campagne? Bene, ecco alcune idee per trasformare in regole (come è necessario fare) questa decisione. Tenete conto, comunque, che avrà delle conseguenze: non sorprendetevi se i giocatori faranno comportare i loro PG come se fossero immortali… visto che in effetti lo saranno.
Solo svenuti
I PG non sono mai morti, sono al massimo svenuti. Se qualcuno li soccorre, possono riprendersi. Se alla fine di una scena c’è anche un solo PG rimasto in piedi, può rianimare tutti gli altri; se invece sono tutti caduti, si risveglieranno prigionieri dei nemici o qualcosa di simile.
È la soluzione più semplice e vi invito seriamente a non snobbarla. Se ci pensate non è niente di strano: non è altro che una “plot armor” come quella dei classici eroi d’azione.
Morte di Schrödinger
È una proposta di Angry GM (vedi link in appendice) per D&D 5e, sfruttando la meccanica dei “tiri salvezza contro la morte” tipica di quell’edizione. Il giocatore effettua questi tiri per il proprio PG di nascosto (anche dal Diemme), e solo a fine scena, o quando viene esaminato, rivela se è vivo o morto.
Formulata così è (per ammissione dello stesso autore) un “cavallo di Troia” per far accettare la cosa a chi non vuole avere la sensazione di discostarsi troppo dal manuale. Siccome sapete che io sono a favore di chiarezza e trasparenza, invece, direi semplicemente la verità, cioè: il giocatore decide il risultato dei suoi tiri contro la morte. Fine. Inutile che finga di far rotolare il dado.
Angry ha notato che, al suo tavolo, questo approccio responsabilizzava i giocatori e alla fine portava comunque a diverse morti, accettate a quel punto con più tranquillità. Gli esseri umani sono strani.
Cicatrici
Anche questa contenuta nel post di Angry, ma in realtà abbastanza comune da tempo. Se il PG muore, il giocatore può decidere che invece sopravviva (svenuto, e bisognoso di cure mediche per riprendersi) ma accumuli una cicatrice o piccola menomazione, irreversibile, che gli provoca una penalità (un -1 da qualche parte) a scelta del Diemme, o determinata da un’apposita tabella.
Per approfondire:
Ho già parlato della morte dei personaggi, in passato, in questa Q&A che vi invito a recuperare: Q&A: tesoro, mi sono morti i PG (domanda di DiFux-III).
E in Fallire senza morire (progetta le tue avventure, episodio 8) ho parlato di come le migliori avventure, e campagne, siano quelle in cui la morte dei PG (per quanto possibile) non sia l’unica potenziale condizione di insuccesso.
Per quanto riguarda le fonti esterne…
- The Angry GM ormai è una nostra vecchia conoscenza (vedi letture consigliate).
- In Death Sucks (in inglese; “la morte fa schifo”) affronta direttamente il tema della morte dei PG; vi consiglio caldamente di leggerlo, se avete tempo. Argomenta che il fatto che la morte “faccia schifo” è voluto e utile, e dovrebbe esserlo a maggior ragione per chi è interessato alla storia che emerge dal gioco. Dà alcuni ottimi consigli su come gestirla, tra cui come gestire l’arrivo di un nuovo PG che sostituisca quello morto. Riconosce che eliminare la morte dal gioco è accettabile, se si vuole, ma mette in guardia dagli inevitabili effetti collaterali. Infine propone le alternative della morte Schrödinger e delle cicatrici, di cui ho parlato sopra, più una terza alternativa che però era specifica per una certa campagna perché richiede che si basi su una premessa particolare.
- In Coping with Loss (sempre lingua inglese) discute di successo e fallimento in D&D, ed è particolarmente interessante dove espande il concetto di morte “meritata” (nel senso “sano” del termine, cioè equa).
- A questo link trovate un articolo (in lingua inglese) di Halfling Hobbies abbastanza ben fatto. Riguarda D&D 5e ma non è difficile estendere i consigli ad altre edizioni. Contiene proposte alternative alla morte (es. cicatrici permanenti) se la si vuole abolire, e una breve lista di cose da fare / non fare in caso di morte di PG se si vuole mantenere l’eventualità nel gioco (sono quasi tutte “condimenti”).
- Questa discussione su Reddit (lingua inglese) riguarda specificamente l’approccio OSR ma secondo me è interessante per tutti. Si concentra sulle responsabilità del Diemme ma dalla prospettiva giusta, cioè molto a monte dell’evento mortale: il flusso di informazioni, la chiarezza ed equità nell’uso delle regole, e così via.
- Anche questo thread su enworld.org (sempre in inglese), sulle “Quattro Leggi” della morte dei PG in D&D, può meritare una lettura. Non concordo al cento per cento, e lo trovo un po’ sbrigativo, ma alcune osservazioni sono degne di considerazione.
Eccezionalmente, citerò anche ben tre video di Youtube, tutti in italiano.
- In questo, di Master Kae, la trattazione è abbastanza condivisibile, salvo alcune parti. Punti principali da ricordare: è bene prepararsi dall’inizio all’idea che il proprio PG possa morire, e può essere una svolta interessante nel gioco, spingendoci a giocare un nuovo PG che altrimenti non avremmo nemmeno pensato. Aggiunge perfino una nota contro il barare coi dadi!
- In questo, di Simius Ludens, ho notato un po’ di confusione, benché con un fondo di verità. Nel criticare le meccaniche di D&D 5e parla di un “conflitto interno alla filosofia stessa di D&D” che vede da una parte un wargame, dove la morte è la sconfitta e la fine del gioco, e dall’altra un “gioco di narrazione condivisa” dove la morte deve avere un “senso drammatico”. Come ho osservato in un commento, un contrasto del genere esiste nella comunità giocante, non certo nel gioco in sé, come dimostrano le stesse meccaniche che l’autore stava criticando; il che non significa che sia un semplice wargame, visto che la morte non è la fine di niente: basta fare un nuovo PG e il gioco va avanti. La seconda parte del video parla anche del fenomeno del double tapping a cui accennavo in questo articolo.
- In questo, di Stef Kiryan, potete notare quanto sia marcata l’impronta dello stile che va forte nelle live streaming di oggi. A parte il ripetuto ricorso alle solite espressioni infelici (per cui è il Diemme che “uccide” i personaggi, la morte è “colpa” di qualcuno, eccetera… ma ormai sono normali, bisogna essere comprensivi), non penso che dica cose sbagliate, solo cose fuori dal mio modo di concepire D&D. Va detto, a onor del vero, che non parla di D&D nello specifico ma di GdR in generale. Tutto l’accento è sulle emozioni, su come rivestire la morte di importanza drammatica ed estetica. A un certo punto parte un esempio, estratto da una delle sue live: malgrado sia tagliato dura tre minuti e mezzo, con il master che narra l’eroica caduta e la lenta agonia del personaggio, e il giocatore che fa la voce rantolante. Stef raccomanda di non prevenire la morte di un singolo PG ma di caricarla, appunto, di significato e pathos; d’altro canto, dice di odiare i TPK e inventarsi escamotage a tutti i costi per evitarli, perché sono una “perdita di tempo” e finiscono per “distruggere il lavoro di mesi”. Considerazioni legittime quando il fine principale è realizzare uno spettacolo collettivo. Ma non posso fare a meno di pensare a un giovane Diemme che guarda quel video, e alle strane idee che rischia di farsi…
Ci sarebbe da fare un articolo a parte sul Colpo di Grazia (o Spezzare Arma o…) introdotto in D&D 3.x perché di fatto i giocatori vogliono usarlo contro i PNG ma non vogliono che il Master li usi contro di loro. Ma come ho detto sarebbe troppo lungo parlarne.
Il problema di tutto questo è: sconfitta = morte. Punto.
Ci si potrebbe fare un meme: “non importa che il mondo finisca, se il tuo PG vive allora hai vinto”. È una condizione che hanno il 99% dei giocatori. Questo causa i seguenti due problemi:
1) O il giocatore smette di giocare (o con te o proprio basta) oppure crea un altro personaggio, che però morirà e quindi ne creerà un altro che… alla fine “è morto il 233° personaggio avanti il 234°” che rende la morte una barzelletta ed i PG pedine.
2) se viene rimossa la morte, i giocatori si comportano in modo imbecille (o kamikaze, come dici tu) ed alla fine si annoiano perché manca la sconfitta.
In verità basta che i giocatori si immedesimino nel mondo di gioco ed ogni sconfitta abbia effetti importanti perché la questione perda senso: i PG non si getteranno a “nudi a prendere a pugni il drago” sia perché non ha senso che accada nel mondo di gioco sia perché se il drago li sconfigge ci saranno conseguenze indesiderabili, anche se il PG sopravvive (è una sconfitta).
Certo, se siamo ai livelli di mortalità di OD&D, dove il mio personaggio è morto appena iniziato a giocare perché è inciampato su una corda, la cosa può risultare ostica da applicare, ma D&D supporta una certa scala di mortalità e basta scenderla perché la questione funzioni.
Poi c’è il problema della resurrezione: inesistente ai bassi livelli, onnipresente agli alti (a meno di TPK) e di un miliardo di modi per fregarla poi rintrodurla, poi fregarla di nuovo, poi rintrodurla di nuovo, eccetera, eccetera. Ma anche qui si potrebbe fare un articolo a parte.
Sono d’accordo sulla parte che l’informazione è importante: sarebbe interessante leggere una tua Pillola sul cosa fare se si è capito fischi per fiaschi (ok, parlarne, ma che fare nel mondo di gioco? Torniamo indietro nel tempo? La prendiamo così com’è e sarà per la prossima volta? Modifichiamo qualche dettaglio? Altro?).
Ciao 🙂
PS: in verità sotto sotto anche tu hai questa mentalità (e penso di avercela anch’io): infatti dici che se viene tolta la morte i giocatori si comporteranno come se fossero immortali. In realtà valuteranno ogni condizione prima di “gettarsi nella mischia” proprio perché una sconfitta è una sconfitta.
Non ho capito il PS
Se intendi che la sconfitta potrebbe avere effetti negativi anche se non morissero, e i giocatori li valuteranno, questo non contraddice in alcun modo il mio punto. Anche un immortale li valuterebbe. Si comporteranno da immortali che valutano questi aspetti. Immortale non vuol dire stupido.
Questo permette di avere in gioco un certo tipo di scelte, come quella del primo Superman: due città stanno per esplodere, non sono abbastanza veloce da salvarle entrambe, quale salvo?
Ma va tenuto presente che sicuramente cancella scelte di altro tipo. Vale la pena rischiare la mia vita per la città? La città sta per esplodere, ma se scappo in tempo sono sicuro di salvare la pelle, cosa faccio? Queste non le avrai mai perché non rischi mai la vita.
Non è grave, basta saperlo. A me non piace (né da giocatore né da Diemme) ma è questione di gusti.
Opinione mia personale (cioè data dalle mie esperienze di gioco ma può essere benissimo fallace) queste domande hanno poco senso in un gioco come D&D: o “rischi la vita” sempre oppure non giochi. Quindi la risposta sarà sempre “sì, ne vale la pena”. Altrimenti uno semplicemente non va ad affrontare Dungeon, Mostri, Tiranni o quello che sia 🙂
Ciao 🙂
Ci mancherebbe che ne vale la pena in generale. Ma può essere interessante la scelta se il rischio valga il beneficio, se il gioco valga la candela, in una situazione specifica.
Un PG così timoroso per la propria vita da non volerla rischiare affatto non entra proprio nel dungeon e rimane a fare il contadino. Ma un PG coraggioso che sceglie di entrare nel dungeon non per questo sceglierà di affrontare ogni singolo mostro o pericolo di ogni singola stanza. Un pugno di goblin a guardia di un oggetto magico? Mi ci ficco. Un’esile passerella su una pozza di lava solo per raggiungere un pugno di monete? No, grazie, cerco un’altra strada o rinuncio. Uno squadrone ben organizzato di hobgoblin a guardia di un oggetto magico? Hmm, scelta interessante… quanto mi sembrano temibili? E quanto mi serve quell’oggetto magico?
Anche fuori dal dungeon crawl vale lo stesso concetto. Voglio combattere il tiranno e non rintanarmi in casa, questo è certo. Ma quello specifico trasporto di rifornimenti, vale la pena attaccarlo o è troppo ben protetto e aspettiamo il prossimo? Se attacchiamo e ci ritroviamo circondati, è meglio insistere fino all’ultimo uomo o fuggire e sopravvivere per vendicarsi un’altra volta? E questa casuale ingiustizia in cui mi sono imbattuto, che non riguarda il mio nemico tiranno, vale la pena esporsi per combatterla, o rimanere in vita per rovesciare il tiranno è per me più importante? A me piacciono queste cose.
Poi ci sta ed è assolutamente lecito volere un gioco in cui questo tipo di domande non si pone mai. Un po’ come nelle storie di supereroi: il supereroe interviene sempre contro il cattivo, a prescindere dallo squilibrio di forze, e senza mai preoccuparsi di se stesso. (Infatti è il tipo di storie in cui è comune la plot armor…) Non ho niente in contrario se un gruppo vuole giocare così: lo rispetto, e a quel punto una regola (una regola) che realizzi questa plot armor e impedisca la morte ci sta tutta. Incentiva proprio il tipo di mentalità che si vuole avere al tavolo. Perfetto.
L’importante è essere consapevoli di queste cose. Cioè, inserire una regola che previene la morte, e poi deludersi o meravigliarsi per il fatto che al tavolo non si crea mai una scena in cui i PG sono combattuti ed esitano di fronte al rischio mortale che li attende, è un po’ bislacco. Se si mette una regola del genere i PG passeranno sempre sull’esile passerella sopra alla pozza di lava, anche se dall’altra parte c’è solo una moneta di rame. Basta saperlo e accettarlo.
Questo articolo comunque non è in favore della morte indiscriminata. È in favore di istituire regole coerenti con il tipo di morte, e la frequenza di morte, che il tavolo desidera. Quello che critico con forza è il non istituire queste regole coerenti, e lasciare invece la questione al giudizio di pancia del Diemme caso per caso.
Finalmente qualcuno che lo dice forte e chiaro: non è compito del DM condannare o graziare proprio nessuno! Mica siamo giudice, giudice e carnefice.
Comunque mi duole dire che non c’è sessione zero che tenga: quando un PG muore, solo allora si sa come reagirà il giocatore. E’ una sorta di “tiro sulla risolutezza mentale” sul giocatore, per vedere se rimarrà virtuoso o cadrà preda di qualche afflizione :’D
In ogni caso, ho imparato a gestire queste situazioni con pragmatismo: quando un PG muore, se il giocatore accetta un nuovo personaggio bene, altrimenti per me può anche abbandonare la campagna. Sarò draconiano, ma io non ho intenzione di giocare (sia da master che da giocatore) campagne dove esistono concetti come la plot armor, la resurrezione o cose analoghe.
Insomma, nelle campagne di Fantome “la morte non è negoziabile” cit. Frase surreale.
Comunque, forse la difficoltà nell’accettare la morte del proprio personaggio nasce dall’idea che essa sia la fine di tutto. Ma in un gdr non è così: l’eredità del personaggio, i suoi ideali, la sua missione, possono essere raccolti e portati avanti da qualcun’altro. Un passaggio del testimone, la volontà che trascende la morte fisica e continua in un altro argonauta.
Non so se hai presente il trailer di Fallout 76 (nel caso, ti consiglio di recuperarlo, dura pochi minuti ma è quasi poetico): la scena che preferisco in assoluto è quando il sopravvissuto nell’Appalachia post-nucleare, camminando tra le sterpaglie di un bosco, trova i resti dell’armatura di un antico soldato dell’esercito degli Stati Uniti.
Quello stesso soldato, a inizio trailer, lo vediamo camminare stoico all’aperto, per vedere con i suoi occhi le esplosioni nucleari che da lì a poco lo porteranno alla morte.
Quando il sopravvissuto raccoglie la sua armatura e la indossa, la sensazione che da è proprio questo “passaggio del testimone” tra queste due persone così lontane nel tempo. Uno è morto, ma se l’altro dovesse sopravvivere, il suo sacrificio non sarà stato vano.
Insomma, nei gdr la morte del proprio PG è un passaggio, per quanto travagliato: con la giusta visione delle cose, non è così terribile. 😉
Bella immagine! Grazie 🙂 🙂
Io credo di essere in parziale disaccordo. La morte di un PG “stoppa” tutte le sottotrame ad esse legate che rimarranno senza conclusione. Quand’anche queste non ci fossero, il passaggio di testimone può aver senso se la morte è rara, ma se iniziano a “morire come mosche” allora la cosa perde rapidamente senso.
Ciao 🙂
Certo, la morte di un PG non è “indolore” né senza conseguenze negative. Qualcosa si perde, ovviamente. Però non è detto che si debba perdere tutto. Se si riesce a salvare qualcosa di quanto fatto dal vecchio PG in un nuovo personaggio, la morte del PG non diventa più sopportabile, più agrodolce?
In ogni caso non ho mai parlato di “morire come mosche”, anzi, nelle mie campagne la morte dei PG è poco frequente. Ma questo per due motivi: i PG sono consapevoli che potrebbero essere uccisi anche da una minaccia relativamente banale (quindi giocano con molta prudenza) e le situazioni di immediato pericolo sono poche.
E’ possibile giocare in modo molto diverso da come faccio io, con impavidi avventurieri che sfidano ripetutamente la morte in una cripta sotterranea dove ogni stanza contiene mostri o trappole mortali… lì probabilmente ogni sessione morirebbe qualcuno. Ma io non gioco così, quindi non so dirti come gestire la morte dei personaggi con questo stile di gioco :’D
Penso di essere in parte in disaccordo con questa posizione…
Una volta che il giocatore ha fatto la scheda seguendo le regole, la scelta di quale pg interpretare èsolo sua non gliela puoi togliere.
Di conseguenza non sei “”draconiano”, sei un ladro X””D se rubi, allora paghi perdendo il giocatore.
Poi consideriamo il punto di vista umano. Quello che hai detto suona come “se non sei d’accordo con me puoi anche andartene”… non è un bel comportamento
Se tratti male qualcuno è ovvio che lui smette di essere tuo amico .
Ciao e benvenuto/a sul blog!
Sul punto di vista umano, capisco cosa intendi dire. Naturalmente si tratta di parlarsi chiaramente dall’inizio (e anche in corsa) con reciproca comprensione, senza prevaricarsi né giudicarsi a vicenda, cercando di capire se si può giocare insieme in un modo che piace ad entrambi oppure no; senza prenderla sul personale.
Sul fatto del “ladro”, invece, ti chiederei per favore di approfondire il tuo pensiero perché non sono sicuro di aver capito. Come hai detto anche tu, il giocatore fa la scheda seguendo le regole. Se il suo PG muore seguendo le regole, chi è che avrebbe rubato? Non credo che si possa sostenere che in qualunque sistema di gioco, a qualunque tavolo, il giocatore ha sempre il diritto inalienabile che il suo PG rimanga in vita, anche se le regole dicono apertamente il contrario. Ma non credo tu volessi dire questo. Sul serio, spiegati meglio, mi interessa.
Non sono sicuro di sapere di cosa tu stia parlando:
Se un giocatore ha fatto la scheda seguendo le regole, per i gdr in cui gioco le regole contemplano chiaramente che il suo personaggio possa morire, è scritto nero su bianco in diversi punti del manuale e viene comunque fortemente suggerito dalle più svariate situazioni che possono frequentarsi in gioco: deve preoccuparsi di mangiare, o il personaggio morirebbe di inedia. Deve preoccuparsi di bere, o il suo personaggio morirebbe di sete. Deve preoccuparsi del suo igiene, o rischierebbe di morire di malattia. Deve preoccuparsi dei veleni ambientali, delle radiazioni, delle tossine, perfino della sua salute mentale se non vuole morire di infarto per il troppo stress! Ogni elemento nel manuale grida: “Fai attenzione!” “Preparati!” “Riposati!” “Fai attenzione, organizzati, sopravvivi!”
Quindi, appurato che la sopravvivenza del PG è uno dei fulcri e dei perni del gioco a cui gioco, arriviamo a due conclusioni possibili:
1) Il giocatore mi chiede che il suo personaggio sopravviva alla morte: accetto, ma a questo punto tanto vale giocare a un gioco dove i personaggi non possono morire.
2) Il giocatore mi chiede che il suo personaggio sopravviva alla morte: rifiuto, per motivi di coerenza con il gioco, con quanto scritto, detto, stabilito e accettato. Se lui (il giocatore) dovesse incazzarsi e andarsene, perché sarei io ad aver avuto un “cattivo comportamento”? Non l’ho costretto né io a giocare, né io l’ho costretto ad andarsene. Permetto sempre a un giocatore di farsi un nuovo personaggio per tornare a giocare già dalla sessione successiva. Consiglio anche agli altri giocatori di onorare il defunto in modo degno, se possibile, con funerale e rammarico generale del gruppo.
Più di quello non dovrei e non voglio fare. :]