Parlare fa bene (motivazioni & obiettivi, episodio 5)

Sasha sa cosa desidera da Andrea, per il suo massimo piacere. Ma dirlo ad alta voce… che imbarazzo! Romperebbe l’atmosfera! Perché sia tutto naturale bisogna invece che i gesti e le azioni parlino da soli. Tace e si affida ad Andrea, confidando che saprà intuire le cose migliori da fare.

Andrea non ne ha idea, ma chiedere apertamente… che vergogna! Sarebbe un’ammissione di inadeguatezza. E poi il mistero, la spontaneità, dove vanno a finire? Meglio agire, invece, e spiare la reazione di Sasha cercando di decifrarla. Se tutto va bene, per prove ed errori, arriverà a capire le mosse giuste.

Ma che avete capito? 🤭 Stiamo parlando di GdR! (Quelli da tavolo.)

Bentornati a questa serie su motivazioni e obiettivi (M&O). Nello scorso episodio vi ho fatto l’esempio di tre Diemme con tre approcci molto diversi. Oggi li commento per trarre delle conclusioni.

Introduzione

Non ci vuole un mago di 20° livello per capire che se solo Sasha e Andrea si parlassero potrebbero migliorare molto la qualità di… qualunque cosa stiano facendo. Si trattengono solo per il pregiudizio che parlare sia qualcosa di negativo, imbarazzante, artificioso.

I vari media (film, web serie eccetera) ci hanno abituati a pensarlo: lì tutto va per il verso giusto come per magia, senza una parola di troppo. Il vero motivo, però, è che le parole sarebbero un infodump, noioso per lo spettatore. Mentre nella vita reale non ci sono spettatori… a meno che non ci ostiniamo, noi stessi, a vivere anche quella come tali.

Torniamo quindi ai tre Diemme dello scorso episodio:

  • Ugo, che gioca un “mondo aperto” senza preparare alcuna quest finché non sono i PG stessi a imbarcarvisi.
  • Emma, che ha preparato un “modulo” di gioco con un’avventura ben precisa e lo comunica in modo esplicito ai giocatori.
  • Gustavo, che ha preparato un “modulo” di gioco con un’avventura ben precisa ma non lo comunica ai giocatori, se non per vie implicite.

Se non ve li ricordate (è passato del tempo) vi invito a rileggerlo prima di andare avanti qua sotto.

Ce ne sarebbero altri due

Non ho voluto allungare troppo quell’articolo, ma un quadro completo avrebbe voluto anche altri due Diemme-tipo. Come abbiamo visto nel terzo episodio, infatti, avere degli obiettivi predefiniti dall’inizio non implica che per forza li abbia scelti il Diemme: la proposta può venire dai giocatori.

Quindi avremmo potuto avere anche:

  • Emmamaria, che riceve dai giocatori la comunicazione esplicita sull’obiettivo che vorrebbero perseguire nella prossima avventura, ne parla con loro, e prepara un “modulo” di conseguenza.
  • Giangustavo, che sulla base di comunicazioni implicite dei giocatori (per esempio attraverso le backstory dei loro PG) si fa un’idea di quali obiettivi vogliano perseguire, e prepara un “modulo” di conseguenza.

Torneremo su di loro alla fine: la differenza è minima, e valgono gli stessi ragionamenti che faremo, rispettivamente, per Emma e Gustavo.

Cambia la forma, non il contenuto

Innanzitutto, bisogna rendersi conto che Gustavo ha detto ai giocatori le stesse cose di Emma. Le stesse. Solo in modo diverso: implicito, appunto, attraverso la narrazione in game. Chi critica l’approccio di Emma ritenendolo troppo vincolante o castrante per i giocatori forse non realizza che in quello di Gustavo non ci sono meno vincoli.

Non ci credete? Andiamo all’inizio della giocata. Emma dice:

Fatevi dei PG del Grande Nulla che risiedono al Marf di Sotto. L’avventura inizierà con l’apparizione di una stella cadente, che in base alle leggende locali andrà a cadere al suolo e farà nascere una rosa magica che può esaudire un desiderio. I vostri PG devono essere decisi (con qualunque motivazione: fate voi) a trovare la rosa e a determinare che fine farà. Vi sta bene?

Mentre Gustavo, in apparenza, dice solo:

Fatevi dei PG del Grande Nulla che risiedono al Marf di Sotto.

Ma sarà proprio così? Mettiamo che lui e il suo gruppo si affidino, per reciproca intesa, a quel tacito patto per cui i giocatori assecondano i segnali, lanciati dal Diemme durante il gioco, su “dove va a parare” la sua storia (quella che ho chiamato “opzione uno” nello scorso episodio). In tal caso, ciò che ha realmente detto Gustavo è:

Fatevi dei PG del Grande Nulla che risiedono al Marf di Sotto. [Durante il gioco vi presenterò un palese aggancio di quest che i vostri PG dovranno seguire.]

La parte tra parentesi quadre era sottintesa, implicita, ma c’era. E siccome sappiamo qual è l’aggancio di quest, in questo caso, possiamo essere più specifici:

Fatevi dei PG del Grande Nulla che risiedono al Marf di Sotto. [Durante il gioco vi presenterò l’arrivo di una stella cadente, che in base alle leggende locali andrà a cadere al suolo e farà nascere una rosa magica che può esaudire un desiderio. A quel punto i vostri PG dovranno essere decisi a trovare la rosa e a determinare che fine farà.]

Vedete? È la stessa cosa che ha detto Emma: tra le parentesi quadre dell’implicito, ma identica.

Mettiamo che invece, o in aggiunta, Gustavo abbia fatto leva sui background dei PG per “collegarli” all’avventura, come fanno d’abitudine molti Diemme (quella che ho chiamato “opzione due” nello scorso episodio). Avevamo già trovato delle “scenette motivazionali” adatte allo scopo:

  • per la paladina altruista di Pina, una scena commovente con dei poveri derelitti, dove è implorata di intraprendere la ricerca della rosa per aiutarli;
  • per l’avido stregone di Mino, un riccone che gli offre una lucrosa ricompensa;
  • per il ladro di Lina, cercatore di reperti, delle voci dei bassifondi che dicono che il luogo in cui cadrà la stella è pieno (guardacaso) di antiche rovine.

Quando Gustavo ha giocato queste scenette, forse gli è sembrato di fare qualcosa di migliore, più immersivo, più “di ruolo” rispetto al metodo di Emma. In realtà, a ogni giocatore stava dicendo:

[Il tuo PG deve essere motivato a trovare la rosa e a determinare che fine farà. E, per venirti incontro, ti fornisco io una buona motivazione: eccola qui.]

È un messaggio implicito, veicolato “in codice” attraverso la fiction e le convenzioni sociali, ma il contenuto è lo stesso di Emma (con in più un suggerimento di motivazione che, volendo, anche Emma poteva dare nella comunicazione esplicita; anzi, in quel caso il giocatore avrebbe potuto dire la propria e proporre una motivazione diversa, più congeniale al suo PG per come lui lo vede, mentre il “suggerimento” di Gustavo, già parte del gioco, va preso come un fatto compiuto).

Ma la forma conta

A questo punto si potrebbe pensare che l’approccio di Gustavo e quello di Emma si equivalgano. Ma temo che non sia così. Anche se il contenuto è lo stesso, l’uso della forma implicita può presentare notevoli problemi.

Problema 1: telefono senza fili

Più una comunicazione è indiretta e più c’è il rischio che arrivi distorta e non venga capita. Mentre Emma parla direttamente a Pina, Mino e Lina, dicendo loro il messaggio così com’è (e perfino in questo caso può succedere di non capirsi subito: pensate!), Gustavo lo converte in elementi del mondo di gioco, poi attraverso PNG o eventi mostra quegli elementi ai PG, e tramite i PG il messaggio arriva a Pina, Mino e Lina che cercano di decifarlo; chi ci garantisce che non prendano fischi per fiaschi?

Intendiamoci: in un gruppo rodato, affiatato, dove ci si conosce bene e ci si intende al volo, questo rischio è molto modesto; ma appena a quel gruppo si aggiunge un singolo nuovo arrivato, ecco che aumenta molto (più di quanto la maggior parte di noi immagina); per non parlare, poi, di quando ci si trova a masterare per gente interamente nuova.

Problema 2: e se non ci sto, che faccio?

Un altro problema di questo approccio è che scoraggia la discussione e il dissenso. Rileggete la parte in cui Lina si rende conto che l’avventura proposta non le piace o non le interessa, ma non sa come esprimerlo. Non vi è mai successo di trovarvi in una situazione del genere?

Se pensate: “Beh, ma basta che lo dica ad alta voce!” temo che vi stia sfuggendo il punto. Se vale questa osservazione, allora vale a maggior ragione per il Diemme: “Bastava dirlo ad alta voce!” (l’obiettivo, prima di giocare).

Il fatto è che Gustavo, scegliendo un canale implicito per proporre il tema della giocata, ha avvalorato l’idea che parlare di queste cose off game sia un po’… sconveniente, inappropriato. Non ha apertamente detto di non farlo, eppure conosco vari giocatori che si sentirebbero a disagio. Oltretutto, il gioco è già cominciato: tirarsi indietro a questo punto rischia di “rovinarlo” agli altri giocatori e al Diemme.

Se scartiamo l’idea di parlare off game, restano solo due strade: tacere… o agire attraverso il gioco. Ricorrere cioè, a propria volta, alla comunicazione implicita. Con effetti spesso deleteri perché, mentre un Diemme ha un intero mondo a disposizione per parlare in codice, i giocatori hanno un canale solo, le azioni del proprio PG.

Lina è una brava persona, ma quanto spesso accade che un giocatore, scontento o frustrato per la direzione che ha preso l’avventura, si metta a remare contro in game cercando di portarla altrove? Prima di accusarlo di essere oppositivo e tossico dovremmo domandarci se gli abbiamo fornito, con l’esempio, delle alternative per una comunicazione più sana.

Problema 3: potrò farlo, questo?

Vi è mai capitato di pensare un’azione e fermarvi un attimo, chiedendovi se metterebbe il Diemme in difficoltà? Non sto parlando, ovviamente, di cose sconvenienti per il clima e la sicurezza al tavolo: in quei casi trattenersi è giustissimo. Sto parlando, invece, della paura di “rompere le uova nel paniere” al Diemme, di “deragliare” la sua preparazione.

Non è raro che i giocatori abbiano questo scrupolo. Una persona su Dragons’ Lair una volta ha scritto:

Io sono uno che sta molto attento a cercare di capire dove vuole “andare” il master.

Non dico che sia una cosa sbagliata di per sé: come vedete si fa con le migliori intenzioni, è una forma di “tatto” verso una persona al tavolo che ha faticato per predisporre la giocata. Il punto è che la comunicazione implicita costringe questi giocatori a vivere in una perenne incertezza a riguardo. Con l’approccio esplicito, invece, i patti sono chiari: i giocatori sanno qual è il confine da non superare per non “scombinare” la preparazione del Diemme.

Problema 4: backstory prescrittive

Non è un caso che quelli che si lamentano perché i giocatori non interpretano coerentemente” il loro PG siano in gran parte (almeno nella mia esperienza) Diemme che seguono l’approccio implicito.

Abbiamo visto, infatti, che il modo più comune di metterlo in atto consiste nello sfruttare la backstory dei PG. C’è un ovvio effetto collaterale:

  • è obbligatorio averne una (sufficientemente ricca e dettagliata), e
  • è obbligatorio “rispettarla”, cioè attenersi ad essa in modo scrupoloso quando si interpreta il PG, per tutta la campagna (al limite si può accettare un cambiamento se lo si “giustifica” al Diemme, il che non è altro che un modo, a sua volta implicito, di rinegoziare i termini dell’obbligo).

Stranamente, questi doveri vengono accettati, in genere, senza battere ciglio. Mentre quando si propone di allineare tutti i PG a un obiettivo specifico, concordato a inizio giocata, molti lo vedono come un vincolo “oppressivo” e ne sono scandalizzati (benché sia, in realtà, assai più leggero e meno invasivo dei precedenti due).

Ho scritto un intero articolo sul problema che ho soprannominato recitazionismo, quindi non mi dilungherò a ripetere qui gli svantaggi di questo approccio prescrittivo alla backstory. Banalmente: i giocatori di ruolo non sono attori e pretendere che lo diventino, molte volte, non funziona.

Presunti vantaggi dell’implicito

Mettere in discussione qualcosa che si è sempre fatto e a cui si è abituati è difficile. Chi rimane attaccato all’approccio implicito in genere lo difende attribuendogli dei vantaggi. Solo che (sarà un problema mio) non ne ho ancora sentito uno che mi convinca davvero.

Ecco i tre in cui mi sono imbattuto finora. Se ve ne vengono in mente altri, scrivetemeli pure nei commenti e sarò felice di aggiungerli!

Evita di rompere l’immedesimazione?

Su cosa sia l’immedesimazione (o “immersione”, altro termine usato spesso) ci sarebbe da scrivere un articolo intero. Per ora, faccio conto che sappiamo tutti, almeno a livello intuitivo, di che stiamo parlando.

Io ne ho una concezione, forse, atipica: cose come citare le regole, parlare in terza persona o “uscire dai personaggi” per discutere off game non disturbano il mio senso dell’immersione, non mi fanno sentire “meno immedesimato”. Ho capito che molte persone, invece, per immedesimarsi sentono, in sostanza, il bisogno di dimenticare (o di accantonare il più possibile) il fatto che stanno giocando a un gioco: vogliono proprio vestire i panni del loro personaggio, e ogni cosa li costringa a uscire da questa identificazione totale viene vista come un disturbo.

Ebbene: parlare di obiettivi in modo esplicito, off game, rompe l’immedesimazione in questo senso?

Mi viene da ridere. Potrei capire (almeno in parte) questo dubbio se stessimo parlando di un LARP, o di un qualche altro gioco progettato apposta per permettere di stare al 100% in character per delle ore. Ma stiamo parlando di D&D, gente: un gioco in cui bisogna continuamente guardare la scheda, aggiornarla, tirare dadi, annotare i danni; in cui ad ogni sessione si parla di iniziativa, tiri salvezza, punti ferita. Insomma, ad ogni minuto ci “ricorda” di essere un gioco da tavolo. Se questo “rompe” la nostra immedesimazione… beh, è già rotta comunque. Come può qualche parola esplicita sugli obiettivi fare differenza? Non è che una goccia nell’oceano.

Fa risparmiare tempo?

C’è chi pensa che la discussione esplicita degli obiettivi sia una cosa lunga e tediosa. L’approccio implicito ha il vantaggio che intanto si comincia subito a giocare e solo dopo, attraverso il gioco, si avrà la discussione.

Giusto? Solo in apparenza.

In primo luogo, la parte davvero divertente del gioco, quella in cui si lotta per raggiungere l’obiettivo, non potrà cominciare finché non sarà stato identificato, quindi finché la discussione (esplicita o implicita che sia) non avrà avuto luogo. E la discussione implicita in genere è più lenta di quella esplicita. Quindi, è vero che in un certo senso si comincia subito a giocare, ma la parte succosa del gioco la stiamo semmai ritardando.

In secondo luogo, non dimentichiamoci delle famigerate backstory: i giocatori le hanno dovute scrivere, e il Diemme le ha dovute leggere, per poi ingegnarsi a “combinarle” in qualcosa di sensato. Tutto questo richiede un sacco di tempo: molto di più, ne sono certo, di quello che sarebbe bastato per concordare in modo esplicito gli obiettivi della giocata.

Tra l’altro, al di fuori del gioco organizzato (che rimane un fenomeno di nicchia), non succede praticamente mai di giocare senza nessuna comunicazione preliminare off game. Anche solo, banalmente: dove si gioca, quando, con che sistema e che manuali, a che livello, in che ambientazione. Lo facciamo tutti. Ci vorrebbe tanto ad aggiungere due parole sull’obiettivo? No, non costerebbe nulla, e il gioco in sé andrebbe più spedito. Insomma: è con l’esplicito, semmai, che si risparmia tempo.

C’è più suspence, più mistero, più libertà?

Un sacco di dubbi sulla comunicazione esplicita degli obiettivi sono dovuti, secondo me, ad equivoci e incomprensioni su cosa sia davvero.

Molti hanno l’idea, errata, che questa pratica vada a minare il mistero e la suspence, perché bisogna “spoilerare” cose che altrimenti si scoprirebbero più tardi. Ma non è vero: la comunicazione di cui parlo riguarda solo l’obiettivo: non riguarda il conflitto (i problemi che andranno ad ostacolare il suo raggiungimento) né gli eventi (le cose che succederanno). Si può benissimo concordare l’obiettivo senza “spoilerare” un bel niente, come vedremo meglio nel seguito della serie.

Anche il dubbio che concordare in modo esplicito gli obiettivi riduca la libertà dei giocatori si basa su un simile equivoco. Mi preme chiarire che non stiamo parlando di concordare gli esiti del gioco, ma le premesse. Essere espliciti sugli obiettivi non va confuso con uno stile “collaborazionista” in cui le persone al tavolo si mettono d’accordo su cosa succederà, su come andranno le cose, per far aderire gli eventi a un “copione” (preimpostato, o definito di volta in volta dal consenso momentaneo dei partecipanti). Stiamo parlando di una cosa totalmente diversa: di chiarire insieme qual è la posta in gioco, che cosa vogliono i PG. La giocata poi consisterà nello stabilire se e come riescono a ottenerlo, e questo non sarà in alcun modo concordato, ma emergerà in piena libertà dalla dinamica di gioco.

D’altronde, in che modo l’approccio implicito sarebbe migliore, sotto questi punti di vista? La comunicazione sugli obiettivi avviene lo stesso, come abbiamo visto: “camuffata” nella fiction, ma con gli stessi contenuti.

Una volta intrapresa la quest, anche se presentata in modo implicito, la libertà dei giocatori non è maggiore, se si esclude la facoltà di mollarla a metà, o di iniziare a remare contro cercando di mandarla in vacca; cose che però non riteniamo certo positive, né come giocatori né come Diemme, no?

E il maggiore mistero? Non è che non ci sia, ma è un’illusione, dovuta al fatto che al gioco “normale” (quello che in ballo ha l’esito dell’impresa avventurosa) abbiamo aggiunto un altro gioco, il minigame “indovina cosa pensa / vuole il Diemme” (o, per lui: cosa pensano / vogliono i giocatori). Prima di giocare a vedere se raggiungiamo l’obiettivo, stiamo giocando a capire quale sia l’obiettivo. A tentoni, come a moscacieca, e facendo finta di non farlo. Ma questo minigame non è indispensabile e, per la maggior parte delle persone (almeno nella mia conoscenza), nemmeno divertente: è un male necessario che accettano solo perché pensano che l’alternativa esplicita non esista o non sia lecita.

Altri due, stesso discorso

Ora dovrebbe essere chiaro (spero) che tutto quello che ho detto per Emma vale anche per Emmamaria, e tutto quello che ho detto per Gustavo vale anche per Giangustavo. Il punto cruciale, insomma, non è chi sceglie l’obiettivo (Diemme, giocatori, tutti insieme, o a caso tirando un dado): è se usiamo, a riguardo, una comunicazione esplicita o implicita.

Se avete dubbi o domande, comunque, scrivetemi pure nei commenti.

Concludendo…

Vi avevo anticipato che in questa serie avrei preso delle posizioni nette, molto più del solito. Spero con questo episodio di averle spiegate chiaramente.

Ma non è finita qui: nel prossimo completerò il discorso illustrando i maggiori vantaggi dell’approccio esplicito, quelli che ancora ho lasciato sottotraccia.

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8 pensieri riguardo “Parlare fa bene (motivazioni & obiettivi, episodio 5)

  1. Ok, aspettavo questo articolo (che condivido parola per parola, per una volta: diamo merito al merito) per dire qual’è l’unico svantaggio di Emma e l’unico vantaggio di Gustavo. No, non riguarda né i colpi di scena, né gli spoiler, né il “giocare subito” (anche se questo è quello che tutti dicono). Riguarda un caso molto particolare ma che mi è capitato di vedere (e di provare una volta): l’avventura che state giocando risulta noiosa! Proprio così, durante lo sviluppo del gioco ci si accorge che la ricerca della rosa (per rimanere nell’esempio) sta iniziando ad annoiare tutti. I giocatori, non i personaggi: i loro obbiettivi sono ancora intatti e ben determinati a raggiungerli, ma lo svolgimento del tutto sta iniziando a stufare coloro che li manovrano (e/o il DM che tira avanti la baracca).
    Emma: Emma ha un grosso problema: i personaggi sono esplicitamente legati a questa avventura! Non la lascerebbero così di punto in bianco. Che fare? L’unica è abbandonare i personaggi. Ma se così non si vuol fare? Si resetta? Può darsi che intanto lo sviluppo dei personaggi sia andato avanti e piacciano come sono diventati. Beh, allora si può decidere a tavolino una serie di eventi che… peccato, non stai più giocando! Quello che mi è capitato di vedere è che si parla, si cerca una soluzione, non la si trova e si manda in vacca tutto.
    Gustavo: Gustavo ha invece un vantaggio: i personaggi sono legati da un sottile filo, in fondo si tratta solo di far capitare qualcosa in gioco che lo recida e ne crei un’altro. Magari un’altra avventura più interessante. I giocatori recepiranno il nuovo incipit e proseguiranno a giocare!

    Nota: non quando un singolo giocatore trova noiosa l’avventura, lì Emma ha un sacco di soluzioni a portata che mancano a Gustavo, grazie alla comunicazione esplicita, ma quando tutti iniziano a trovare l’esito noioso.
    Nota2: se trovi una discrepanza nel problema di Emma, ti dico che c’è ma non ti dico quale 😉
    Nota3: se pensi che Gustavo stia facendo una fatica improba, può darsi che hai ragione. In ogni caso, funziona una volta sola.

    Naturalmente quello che dico vale anche per Emmamaria e Giangustavo 😉

    Ribadisco che, dopo aver giocato per anni con l’approccio di Gustavo, mi trovo meglio con l’approccio di Emma 🙂

    Ciao 🙂

    1. Ciao, ti ringrazio di questo commento ma devo ammettere che sono perplesso. Non capisco come possa il metodo di Emma essere efficace, come dichiari, nel caso di noia di un solo giocatore, e improvvisamente diventare inefficace in caso di noia di tutti i giocatori. Quando inizia a perdere efficacia? Se si annoiano 2 giocatori su 5? O 3 su 5?

      Francamente anche in questo caso non vedo nessun vantaggio nell’approccio di Gustavo. Gustavo ha deciso, in autonomia, un nuovo obiettivo e poi ha tirato “i fili” (o li ha “recisi” e “ricreati”) per farlo “recepire” implicitamente ai giocatori.

      Cosa impedisce a Emma di decidere in autonomia un nuovo obiettivo, proporlo ai giocatori, e, se lo trovano più interessante, lasciare che sia ognuno di loro (eventualmente in collaborazione con lei) a recidere il proprio “filo” e a crearsi un altro “filo” adatto? Insomma, di fare la stessa cosa di Gustavo ma in modo esplicito? In effetti, di fare la stessa cosa che farebbe se si annoiasse un giocatore, semplicemente moltiplicata per N dove N è il numero di giocatori?
      Io penso addirittura che funzionerebbe meglio: molte teste pensano meglio di una, e si può trovare la soluzione insieme, se si vuole. Ma se si pensa che sia meglio una soluzione pensata da una testa sola, per evitare discussioni, nulla vieta a Emma di trovarla: ciò che la differenzia da Gustavo è solo il modo in cui la comunica.

      Forse il problema è quell’”ops, non stiamo più giocando”? Cioè, consideri nocivo il fatto di interrompere il gioco per effettuare la comunicazione esplicita?

      Boh, ci sta che la vediamo in modo diverso. Per me il gioco si è già interrotto, di fatto, quando ci accorgiamo che ci stiamo annoiando. E tutto il lavoro per “tagliare e cucire” i “fili” in modo da far partire un nuovo gioco, meno noioso, col metodo implicito è tutto tempo di gioco apparente: ci sembra di stare giocando, ma stiamo solo facendo burocrazia preparatoria dietro il paravento della fiction, finché non saremo lanciati davvero verso il nuovo obiettivo. Con la comunicazione esplicita il lavoro preparatorio sarebbe molto più rapido ed efficiente.

      Oltretutto, permettimi di annotare una cosa: ci stiamo annoiando, dici. Ma come facciamo a esserne sicuri?
      Ne parliamo apertamente? I giocatori dicono che si stanno annoiando? Allora “ops, non stiamo più giocando” si è già verificato, tanto vale approfittarne.
      Non ne parliamo apertamente, è solo il Diemme che ha la percezione che i giocatori si stiano annoiando? Pericolosissimo. Io non mi azzarderei mai a dar seguito a questa supposizione senza prima averla verificata in modo esplicito. Non sono bravo a “leggere” le persone… e se mi sbagliassi manderei tutto a catafascio.

      Se invece mi sfugge ancora qualcosa dimmi pure, ti ascolto

      1. Il problema del “ops, non stiamo più giocando” non è nel fatto che si parla fuori gioco, ma nel fatto che si decide “ora facciamo succedere questo, questo e quest’altro così i personaggi decideranno questo, questo e quest’altro e quindi capiterà questo, questo e quest’altro. Reiterare all’infinito”.

        La differenza tra un giocatore e tutti i giocatori (lasciamo perdere i numeri medi perché è un caso molto particolare) è che si può parlare col giocatore, decidere se è il caso di cambiare qualcosa o persino se farlo divenire PNG ed il giocatore crea un altro personaggio o… boh, altre soluzione che a me non vengono in mente.
        Tutti i giocatori… beh, se tutti i giocatori abbandonano i loro personaggi, allora tanto vale dire che è stato un fallimento e chiudere la questione. Se tutti i giocatori vogliono fare un retcon, di nuovo, significa che c’è stato un grosso problema di comunicazione iniziale, se tutti i giocatori optano per una qualche soluzione che a me non viene in mente, probabilmente di nuovo c’è qualcosa di sbagliato.
        Non vedi il Vantaggio di Guastavo perché non lo percepisci come un vantaggio ma solo come una logica conseguenza del suo modo di agire 🙂

        Come fanno a sapere che si stanno tutti annoiando: ovviamente ad Emma lo dicono e si cerca una soluzione (per mia esperienza, si chiude baracca e burattini). Gustavo invece legge i segnali impliciti dei giocatori… (i puntini sospensivi sono d’obbligo).

        Non so se sono stato più chiaro (ne dubito, a quest’ora).

        Ciao 🙂

        1. “ora facciamo succedere questo, questo e quest’altro così i personaggi decideranno questo, questo e quest’altro e quindi capiterà questo, questo e quest’altro. Reiterare all’infinito”

          Non c’è nessun “reiterare all’infinito”: si settano delle nuove premesse, e poi si ricomincia subito a giocare con quelle nuove premesse. È come fare una nuova sessione zero.

          D’altronde, con il metodo implicito non è che questo non avvenga: avviene esattamente la stessa roba, viene solo comunicata in modo diverso ma il contenuto è uguale.

          se tutti i giocatori abbandonano i loro personaggi, allora tanto vale dire che è stato un fallimento e chiudere la questione. Se tutti i giocatori vogliono fare un retcon, di nuovo, significa che c’è stato un grosso problema di comunicazione iniziale

          Ma che ci sia stato un intoppo (“fallimento” è troppo forte come parola) è ovvio, è pacifico: altrimenti non ci staremmo tutti annoiando. Questo è un punto di partenza e vale in entrambi i casi, sia che si adotti una soluzione implicita sia che se ne adotti una esplicita. Non è che con la comunicazione implicita cambi questa cosa: semplicemente non la vediamo, o meglio, fingiamo di non vederla, perché nessuno la dice apertamente. Ma c’è.
          Voglio dire, a questo punto mi viene il sospetto che il vero vantaggio del metodo implicito sia che quando c’è un problema possiamo evitare di ammettere che c’è stato un problema. Se fosse così, non mi sembrerebbe molto sano.

          Quanto a leggere i segnali impliciti dei giocatori, ripeto: io non mi fiderei di quello che ho “letto” senza un accertamento esplicito. Il rischio di “leggere” male è altissimo, specialmente con persone che non si conoscono bene.

          Non condivido neanche il pessimismo sull’esito della comunicazione esplicita (“si chiude baracca e burattini”), ma si vede che abbiamo esperienze diverse.

          Se mi dai un esempio concreto (qual era l’obiettivo iniziale, quali erano i personaggi, come ci si è accorti che ci si annoiava e cosa è stato fatto esattamente per rimediare) magari possiamo capirci meglio, altrimenti non credo di riuscire a spiegarmi meglio di così. Ma possiamo anche dire agree to disagree, eh, nessun problema.

        2. Scusa, avevo scritto male delle cose e ho dovuto fare diversi edit: se ti è arrivata la risposta via mail non leggerla, leggi questa qua sopra 🙂

  2. Eccomi! Scusa il ritardo ma ho avuto un po’ da fare.

    Allora, situazione che mi è capitata giocando con GURPS (che poi è analogo a D&D, da questo punto di vista, perché di motivazioni ed obbiettivi stiamo parlando): si era deciso di fare esplorazione spaziale; scopo dei personaggi era scoprire cosa si era sviluppato intorno ad un sistema solare appena scoperto. Ogni personaggio aveva le sue motivazioni per farlo (spiacente, ma non riesco a ricordarle). Abbiamo iniziato. Purtroppo dopo la prima sessione, l’entusiasmo di scoprire cosa c’era di nuovo si è spento: tra situazioni già viste, cosa poco interessanti, scoperte meh e colpi di scena alquanto infruttuosi, la cosa è rapidamente andata a noia. Ne abbiamo parlato, abbiamo provato a cercare di capire come cambiare le cose ed alla fine abbiamo abbandonato il tutto. Ancora oggi, se qualcuno mi dice di fare una campagna basata sull’esplorazione, a me si accendono le sirene di allarme!
    Sarebbe cambiato qualcosa se la questione era implicita? Ovviamente non lo posso sapere, ma il fatto di non aver personaggi legati a filo doppio alla trama portante (in questo caso l’esplorazione) forse avrebbe permesso di modificare qualcosa… o forse no.

    Naturalmente la comunicazione implicita mi ha portato più problemi della comunicazione esplicita, quindi preferisco sempre la seconda 🙂

    Ciao 🙂

    1. Ah, capisco.

      Beh, mi dispiace per questa brutta esperienza. Francamente non credo che sia dovuta alla comunicazione esplicita (anzi, ho il forte sospetto che quella implicita avrebbe peggiorato le cose), ma mi rendo conto che non ne avremo mai la prova e rispetto il tuo pensiero.

      Sono incuriosito, però, dal fatto che metti molto l’accento sul “legame a doppio filo” tra i personaggi e la “trama portante”, come se fosse stato quello la causa principale dell’abbandono. Ti va di elaborare un po’ meglio?

      Se ho ben capito: avete creato dei PG motivati a esplorare quel nuovo sistema solare. Dopo la prima sessione vi siete accorti che il gioco vi annoiava. Ne avete parlato per capire come cambiare le cose. (Fin qui, dal mio punto di vista, tutto molto sano.) E…? Avete concluso che siccome i personaggi erano “troppo legati” all’esplorazione di quel sistema solare, che trovavate noiosa, ma non eravate disposti a cambiare personaggi né a cambiare i personaggi, si poteva solo smettere di giocare?

      1. Sì, purtroppo non posso essere più specifico perché non mi ricordo le motivazioni che spingevano i personaggi. Mi ricordo che i personaggi non avrebbero abbandonato l’esplorazione e cambiare i personaggi in corso d’opera non piaceva a nessuno. Scartata anche la mia idea di ricominciare da capo, creando un gruppo che vivesse nel sistema per affrontare altre tematiche ed avventure (qui credo, perché non è mai stato detto esplicitamente, che il motivo fosse che gli ricordava troppo la campagna andata a male), si è abbandonato il tutto.

        Ciao 🙂

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