Chi non conosce Matt Colville, il celeberrimo sviluppatore e youtuber, che regala consigli ai Diemme di tutto il mondo dal suo canale Running the Game? È molto apprezzato anche in Italia, infatti è stato citato più volte come riferimento da persone che hanno preso parte al mio terzo speciale.
Oggi parliamo di un suo video e di una pericolosa polpetta avvelenata che ci ha infilato dentro. Bentornati a questa serie sui peggiori consigli per i neo-Diemme, una in cui mi faccio un sacco di amici 😅.
Mettetevi comodi, perché sarà un episodio lungo e complesso: avrò bisogno di tutta la vostra attenzione.
Premessa reiterata
Come ho detto anche nello scorso episodio…
Questa serie non mira a giudicare o far sentire in colpa le persone. So che le pratiche di cui parla vengono usate con le migliori intenzioni: ci siamo passati tutti, io per primo. Ma è giusto riflettere sui rischi e le storture che comportano. E, anziché perpetuarle, dovremmo proporre e diffondere approcci più funzionali, là dove esistono.
Doratura della pillola
Il video “incriminato” di Colville, The Problem With Talking About D&D, mi trova d’accordo su molti aspetti.
Intanto il valore delle home rule, la visione per cui ogni Diemme è “anche un po’ sviluppatore”: come abbiamo detto di recente con alcuni amici, essa è parte integrante della cultura di D&D (e non di certe altre culture del GdR).
Poi la difficoltà del parlare del gioco con altre persone: un argomento immenso che in futuro voglio esplorare a fondo. Sono convinto che la mancanza di un linguaggio condiviso, chiaro e non giudicante per esprimere le proprie preferenze, unita alla tendenza (come dice Colville) a dare per scontato che ci sia un unico “vero” modo di giocare che va bene per tutti, siano dei grossi impedimenti da cui dobbiamo liberarci se vogliamo portare il nostro hobby a un nuovo grado di maturità. (Non sono molto d’accordo, invece, con la sua enfasi sulla contrapposizione social vs. tactical: su quella ci sappiamo già esprimere, e la sopravvalutiamo.)
Infine, le radicali differenze tra il GdR da tavolo e i videogiochi, discorso simile a quello (mio) sulle difformità tra GdR e intrattenimento frontale.
Dice cose molto sagge, Colville, e non ha certo bisogno della mia pubblicità né dei miei complimenti. Quindi, mi concentrerò sull’unica parte di quel video che mi ha fatto drizzare i capelli in testa (e non perché voglio metterlo in croce: solo perché parlarne ci sarà utile per approfondire l’ultimo punto, rimasto in sospeso, dello scorso episodio).
La nota dolente
Encounter design does not stop just because you rolled initiative.
(La progettazione dell’incontro non cessa quando si tira l’iniziativa.)
Matt Colville (traduzione mia)
Questa frase è già problematica.
Non ho lo spazio, ora, per argomentare con l’ampiezza necessaria. Vi basti sapere che le due fasi, progettare l’incontro (la stanza, la situazione, la sfida…) e risolverlo, sono ben distinte per una ragione: mentre ci aspettiamo che la prima, in generale, sia dominata dalla creatività e discrezionalità del Diemme, per la seconda vogliamo affidarci alle regole e non di nuovo alla sua volontà: altrimenti se la sta cantando e suonando da solo. (Se volete, approfondirò in un altro articolo.)
Certo, con un po’ di indulgenza, avremmo potuto ipotizzare che Colville si riferisse solo alle informazioni acquisite durante la risoluzione di un incontro, le quali sono di indubbio valore per progettare i successivi. Ma lui si spinge oltre, in termini che è davvero impossibile equivocare:
You are going to keep tweaking hit points and maybe even AC while the combat is going, because of the difference between the intended design and what is actually happening at the table.
(Mentre il combattimento procede, continuerete ad aggiustare i punti ferita e magari perfino la Classe Armatura, per via della differenza tra quello che intendevate progettare e quello che sta effettivamente succedendo al tavolo.)
Matt Colville (traduzione, ed enfasi, mia)
E qui, cari amici e amiche Diemme, si nasconde un dolce veleno.
L’eterna lotta con la bilancia
Qualche tempo fa, sul gruppo Telegram “Segrete e Dragoni”, qualcuno ha chiesto ai Diemme presenti di raccontare il maggior errore “di masteraggio” della loro carriera. Ebbene, la stragrande maggioranza ha parlato dell’errato “bilanciamento” di un incontro.
Perché noi Diemme dobbiamo “bilanciare” gli incontri, giusto?
Non per forza “alla pari” (anche se molti giocatori, addirittura, si aspettano questo): è normale che ce ne siano di più facili e di più difficili; o magari ci piace farli tutti difficilissimi. Poco importa: in ogni caso, vogliamo avere quella difficoltà sotto controllo; prevederla, programmarla. Sentiamo che è nostro compito. La lotta con la bilancia domina le nostre vite tutto l’anno: altro che prova costume!
Vi aspettate che adesso vi dica che è sbagliato bilanciare gli incontri? Beh, vi sorprenderò.
Certo, capita di sentire in giro quel consiglio: “Lascia perdere il bilanciamento!”. Fa un po’ da contraltare a quello che va per la maggiore, cioè: “Devi bilanciare bene gli incontri, [anche a gioco in corso,] in modo da…” (e in genere segue qualche discorso sull’assicurare il divertimento o roba del genere). Secondo me sono entrambi un po’ grossolani e superficiali. Non del tutto falsi, non del tutto veri: dipende dal punto di vista; e soprattutto da cos’è questo fantomatico bilanciamento.
Ci torneremo. Ma mi premeva dire questo: io vi capisco, sorelle e fratelli Diemme. So cosa vuol dire sentire la responsabilità, e la fatica, del bilanciare.
Anche a me è dispiaciuto quando un mio ritocco, che pensavo innocuo, alle schede di certi mostri ha causato un TPK, tanti anni fa. O quando, in tempi più recenti, un gruppo di melme si è rivelato un osso così duro che un mio giocatore è balzato in piedi imprecando e buttando via i dadi. Scene che non si dimenticano. (Me l’hanno rinfacciata per anni, quella volta delle melme!)
E, sia chiaro, mi è dispiaciuto anche il caso opposto: per esempio quando ben due dei “superboss” della Tomba dei Re Serpenti, malgrado l’entrata in scena terrificante, sono stati massacrati agilmente, senza lasciare nemmeno un PG agonizzante a terra. Che delusione!
Tuttora, quando preparo le avventure, faccio del mio meglio per “calcolare” la pericolosità dei nemici, per sapere cosa sto facendo. E se siete tra quelli che si lamentano dell’imprecisione (inevitabile) dei Gradi di Sfida di D&D 5e (o 3.5 / Pathfinder), mi concedo una risata: provate a immaginare cosa voglia dire avere un intero regolamento casalingo, per cui i Gradi di Sfida non ci sono proprio e vi dovete arrangiare!
Insomma, sono uno di voi. So che se fate come dice Colville lo fate in assoluta buona fede. Non avete nessuna colpa (lui sì, invece: grande, grosso e stagionato com’è).
Se proverete, per il tempo di questo articolo, a darmi fiducia, e a credere che le mie non sono accuse ma osservazioni gentili di chi ci è già passato, proverò a mostrarvi dov’è il veleno nella sua polpetta.
Di cosa stiamo parlando
Facciamo un attimo il punto, per capirci. L’argomento di oggi è quella pratica per cui il Diemme, di nascosto, modifica la preparazione di un incontro mentre esso si sta svolgendo.
Può avvenire per qualunque motivo: in genere, perché è insoddisfatto di come stanno andando le cose, o perché pensa che ne siano insoddisfatti i giocatori.
Può avvenire in vari modi. Alterare i punteggi (es. i punti ferita di un mostro), come dice Colville, è uno dei più comuni, ma non l’unico. Falsare il risultato di dadi tirati di nascosto è un’altra manovra tipica, di cui abbiamo già parlato nello scorso episodio. Ma anche far arrivare dei mostri aggiuntivi non preventivati, per esempio, o far fuggire alcuni nemici senza un motivo sensato.
Punto primo: bilanciare sì, ma che cosa?
Partiamo dalla questione “bilanciamento”.
Il Diemme Antonio progetta una stanza di dungeon con un terribile ostacolo: una preziosa statuetta magica si trova oltre un lago di lava bollente; è possibile superarlo saltando su alcune piattaforme galleggianti: ci vogliono almeno 3 salti, ma così difficili che il miglior saltatore del gruppo ha solo il 20% di probabilità di superare ognuno, e un fallimento significa morte sicura.
Questo incontro è “facile” o “difficile”? Bilanciato bene o male? Rifletteteci un attimo.
Al tavolo, il giocatore del PG saltatore si rivela intrepido: affronta i salti senza esitare, e il dado gli vuole così bene che li supera tutti; la statuetta è sua, nessuno si fa un graffio, nessuna risorsa spesa. Col senno di poi, è stato un incontro “facile” o “difficile”?
E se invece uno dei PG avesse sfoderato un incantesimo di levitazione, volo o teletrasporto? Di nuovo, avrebbe preso la statuetta senza farsi niente, e senza nemmeno correre rischi; però spendendo una risorsa (l’incantesimo). A quel punto, come avremmo giudicato il bilanciamento?
Più di una volta, in discussioni sul tema (soprattutto online), ho provato a porre la domanda diretta: che cosa intendi con incontro “difficile”? Sono sempre emerse precise aspettative non sulla situazione, bensì sullo svolgimento degli eventi e il loro esito (es. “deve consumare almeno metà delle risorse del gruppo”, “deve lasciare almeno due PG a terra”). Ma quella parte lì non è sotto il nostro controllo. Non siamo registi o sceneggiatori, che progettano una scena: siamo Diemme, e progettiamo una situazione che poi potrà evolversi in mille modi, sorprendendo anche noi.
Spesso, quando definiamo un incontro, crediamo (erroneamente) di progettare questo:
Invece, tenendo conto della variabilità del gioco, ciò che realmente progettiamo è più simile a questo:

Se ci viene da pensare che “non è giusto che il mostro faccia tre 1 naturale di fila” dovremmo riflettere un attimo su cosa abbiamo progettato. Il mostro usa il d20. Il d20 può fare 1. Se davvero non lo crediamo giusto, perché lo abbiamo progettato così? È come se Antonio, nell’esempio, si lamentasse quando il PG fa tre salti buoni di seguito.
Al tavolo non vedremo mai la distribuzione di probabilità: vedremo un singolo caso, che può essere anche molto improbabile. Oltretutto la variabilità non dipende solo dai tiri di dado, ma anche dalle idee e decisioni dei giocatori, che influenzano i tiri stessi e a loro volta ne vengono influenzate, e così via. È futile la pretesa di controllare tutto questo.
Insomma: il bilanciamento (e l’encounter design) riguarda la situazione, non lo svolgimento! Per questo non ha senso parlare di continuare a “bilanciare” anche mentre l’incontro è in atto.
In effetti, mi spingerei a dire che il vero significato di bilanciare una sfida è assicurarsi che esista almeno un modo per superarla con successo, e che ci siano a disposizione informazioni sufficienti per capire qual è e valutare i rischi connessi. (Anche su questo non ho spazio per argomentare per esteso; tempo fa ho scritto qualcosa in proposito su La Locanda dei GdR; se volete ci faccio un altro articolo specifico.) Poi va da sé che una buona sfida dovrebbe ammettere più modi alternativi di superarla, e che il Diemme dovrebbe essere aperto anche a modi ulteriori, proposti dai giocatori, che lui non aveva previsto.
Un’altra cosa essenziale da capire è che, finché parliamo di combattimenti in D&D, non esistono incontri triviali: esistono quelli in cui la disfatta, o morte, dei PG è molto improbabile, ma non sarà mai impossibile. Per come è fatto il gioco anche un singolo coboldo nudo, se ha una fortuna sfacciata, può massacrare un intero gruppo. Ogni volta che si tirano fuori le armi c’è sempre una probabilità, per quanto piccola, di TPK: è una cosa che i giocatori e i Diemme farebbero meglio ad accettare. Chi, come Colville (in un altro video: vedi appendice), parla di scontri “routine or non-threatening” (= routinari o non pericolosi) potrebbe non esserci ancora riuscito.
Naturalmente vale anche il viceversa: qualunque nemico, per quanto potente, ha una certa probabilità di essere fatto fuori con minimo sforzo; magari è piccola, ma c’è. È una caratteristica del gioco. Se non ci piace, dovremmo considerare di cambiare gioco.
Punto secondo: tweaking =/= (home) ruling
E se invece volessimo cambiare il gioco?
Ottima idea! Come ho detto, non c’è niente di male nell’homebrewing, che è parte integrante della cultura di D&D: non credo che esista un Diemme che non ci si è mai cimentato. Al mio tavolo, addirittura, l’intero regolamento è ormai casalingo.
- Come Diemme, possiamo modificare le regole: informando i giocatori, ovviamente (hanno diritto di sapere a cosa stanno giocando, ed è indispensabile il loro consenso).
- Anche durante il gioco possiamo essere chiamati a definire in corsa delle nuove regole, quando si presenta un caso che quelle preesistenti non coprono o coprono in modo insoddisfacente: la Vecchia Scuola usa il termine ruling per questo intervento, ricordate?
- Ma non finisce qui: siamo liberi di inserire nel nostro mondo cose specifiche (mostri, incantesimi, oggetti magici…) che costituiscono eccezioni a certe regole, con mini-regole proprie; in effetti, l’intero impianto di D&D si basa su questo principio: regole generali, e poi capacità particolari che fanno eccezione e introducono varietà.
Tutte queste cose sono radicalmente diverse rispetto alla pratica che sto criticando in questo articolo. A me le differenze sembrano lampanti, ma ho constatato che per molti non lo sono. Allora, chiariamoci.
Prima di tutto c’è una questione di trasparenza. Quando cambiamo le regole, o pronunciamo un ruling in corsa, lo diciamo chiaramente ai giocatori, che quindi sanno come funzionerà quella cosa. Questo è importante perché possano prendere decisioni consapevoli.
La tipica obiezione, a questo punto, è che la trasparenza non vale nel terzo caso citato, cioè l’eccezione: i giocatori non hanno accesso alla scheda del mio mostro custom, o della mia trappola custom, e così via. Perciò, non è la stessa cosa customizzarlo prima o customizzarlo in corsa? Beh, no. Intanto perché non è del tutto vero che la trasparenza non valga: i giocatori non sanno, all’inizio, di quella qualità eccezionale che ho inventato, ma possono scoprirla; mentre se una qualità precisa e ben definita non c’è, ci sono solo io che dietro lo schermo ritocco i numeri a sentimento, non c’è nemmeno niente da scoprire.
Ma c’è un secondo aspetto che è ancora più importante. Vediamolo.
La Diemme Brigitta crea un mostro, il Sarchiapone, e gli dà la capacità inventata Seconda Occasione, che gli fa ritirare un suo d20 due volte al giorno. Lo fa perché sarà un incontro cruciale e non le piace l’idea che un tiro salvezza fallito, contro un incantesimo “save or die” o simili, lo faccia finire prima ancora che cominci. Un ottimo ragionamento!
(Che poi è quello che ha portato ai mostri “leggendari” della quinta edizione. Ciò dimostra, tra parentesi, che se si vede un problema nell’andamento degli incontri esistono modi “puliti” di mitigarlo by design, senza trucchi e senza inganni. Altra parentesi: come vedete, la capacità di questo esempio non ha niente di “realistico”, il “realismo” non c’entra con il discorso che sto facendo.)
Quando giocherà l’incontro, Brigitta avrà delle risorse in più: se il Sarchiapone fallirà un tiro salvezza contro un incantesimo insidioso, potrà appellarsi alla Seconda Occasione per farglielo ripetere; se mancherà clamorosamente quello che poteva essere uno splendido colpo contro un PG, potrà fargli usare Seconda Occasione per riprovare.
Ma c’è un rovescio della medaglia. Se il Sarchiapone sarà sul punto di uccidere l’ultimo PG rimasto in piedi, e il suo tiro per colpire non andrà a segno ma avrà ancora un uso di Seconda Occasione non speso, Brigitta dovrà fargli usare la capacità per ripetere il tiro! Il mostro vuole morti i PG, e lei deve interpretarlo lealmente: “dimenticare” di proposito una capacità utile, al fine di evitare il TPK, non sarebbe diverso da truccare un tiro.
Cosa voglio dire con questo? La “scheda” di ogni elemento dell’avventura (mostro, trappola, oggetto…) contiene delle risorse che noi Diemme possiamo usare, ma contiene anche dei vincoli che dobbiamo rispettare. Le due cose vanno di pari passo. Il nostro compito di Diemme, una volta al tavolo, è sfruttare quelle risorse rispettando quei vincoli: che poi è ciò che fanno i giocatori con le loro, di schede.
Quando definisco un elemento personalizzato o una regola della casa mi sto dando, contemporaneamente, delle nuove risorse e dei nuovi vincoli. Qualche volta mi tornerà comodo che il Sarchiapone abbia duemila punti ferita, qualche volta mi sembrerà un problema, ma se ne ha duemila ne ha duemila, nel bene e nel male.
Se invece mi riservo di ritoccare le cose in corsa, a tutti gli effetti mi sto assegnando risorse senza vincoli! Ora mi torna comodo che abbia duemila punti ferita? Bene, ce li ha. Ora mi sembra un problema? Benissimo, non ce li ha più.
Ecco la vera differenza. Non è un dettaglio: è un modo radicalmente diverso di concepire il ruolo del Diemme al tavolo. In altre parole, finché faccio homebrewing o ruling sto facendo game design, progettazione del gioco; se faccio il trucco del tweaking, invece, probabilmente sto tentando di fare story design: di progettare / controllare il modo in cui vanno gli eventi.
Punto terzo: la cara vecchia agency
Tra quelli di voi che sono arrivati a questo punto senza mollare l’articolo (🤗 grazie!) ci sarà, forse, qualcuno che pensa: “D’accordo, ci hai spiegato che ‘sta roba è diversa dal bilanciamento e dall’home ruling; ma in fondo, chi se ne importa? Qualunque cosa sia, perché non dovremmo farla? Dacci una ragione!“
Ve ne darò due. Ecco la prima, la minore.
Il Diemme Clodoveo ha preparato un incontro con un gigante delle colline. Sarà il culmine dell’avventura. Vuole che sia temibile e metta in crisi i PG, ma non li vuole sterminare: sarebbe un peccato, sono quasi alla meta. L’ideale sarebbe che ne stendesse un paio in un duro e lungo scontro, per poi cadere.
All’inizio i PG scatenano una salva di potenti magie e attacchi a distanza, e hanno fortuna coi dadi. Quando il gigante riesce a raggiungerli, il suo colpo va a vuoto per un tiro basso. Alla fine del secondo round ha finito i punti ferita e non è riuscito neppure a scalfirli. Clodoveo lo trova insoddisfacente: di nascosto, gli raddoppia i punti ferita in modo che sia ancora in gran forma, e decide che al prossimo round i suoi attacchi andranno a segno a prescindere. Così sarà più emozionante, pensa.
Lo scontro prosegue. I PG hanno esaurito le loro capacità più potenti; hanno sfortuna nei dadi, e riescono a danneggiare ben poco il gigante. Lui, invece, abbatte uno di loro e poi un altro, ribaltando lo scontro. Clodoveo si rende conto che ora è ben difficile che i PG rimasti in piedi portino i (nuovi) punti ferita del nemico a zero. Quando il gigante sta per abbattere il terzo PG, Clodoveo è magnanimo e falsa il tiro per risparmiarlo; poi aggiusta nuovamente i punti ferita del nemico: decide che gliene restano una dozzina, proprio il danno che (in media) sono in grado di fare i PG superstiti. Stavolta i dadi rotolano come aveva previsto, e il gigante finalmente crolla.
Cosa c’è che non va in questa scena? Dal punto di vista di Clodoveo, che la vive “a caldo” dall’interno, probabilmente niente. Ma a noi che la leggiamo viene il legittimo sospetto che sarebbe andata comunque a finire così, e quindi che le azioni dei PG siano state ben poco rilevanti. Che spazio rimane, dunque, per l’arbitrio (l’agency) dei giocatori?
Se il Diemme decide che un certo esito, che da regole fa parte di quelli possibili, non succederà mai perché lui, nel caso, lo impedirà, ogni decisione dei giocatori volta ad influenzare (anche) la probabilità di quell’esito viene invalidata. Questo discorso, attenzione bene, vale allo stesso modo se parliamo di un esito positivo o negativo, probabile o improbabile.
Perché i giocatori di Clodoveo hanno iniziato lo scontro da lontano e bruciato i più potenti incantesimi nei primi round? Forse speravano che finisse in fretta. Ma è finito quando “doveva” finire. Questo lo sa Clodoveo, ma loro no: pensano di poter influire su certe cose (durata del combattimento, ammontare del rischio, punti ferita persi…) mentre in realtà non possono, non nella misura che credono. Un caso chiaro di carenza di agency.
In termini molto rozzi e brutali, e cambiando esempio, potrei dire: se tu, Diemme, hai già deciso che questo incontro deve costarmi circa il 30% delle risorse, perché non me lo dici e facciamo prima? Mi spunto quel 30% dalla scheda, dichiariamo l’incontro risolto e andiamo avanti. Tanto, se qualunque cosa io faccia l’esito sarà più o meno quello, che cosa lo gioco a fare? Per il tuo mero intrattenimento?
Punto quarto: che entri la giuria!
“Ma io la rispetto, l’agency!” protesterà a questo punto qualche lettore/lettrice (sempre che abbia resistito a leggere questo mattone fin qui 😉) “Anche quando faccio ritocchi in corsa, in stile Colville, comunque valuto ciò che hanno fatto i PG e ne tengo conto, lo faccio contare“.
Questionabile, ma d’accordo: ammettiamo che sia possibile usare questa pratica senza violare l’arbitrio dei giocatori. Rimarrebbe un altro problema, che a mio avviso è il più grosso.
Pensate a una gara di corsa. Ogni concorrente raggiunge il traguardo in un certo tempo; chi ne impiega di meno arriva primo, il successivo arriva secondo, e così via. Ci saranno degli arbitri, naturalmente, ma solo per assicurare il rispetto delle regole: a misurare i tempi sarà un cronometro, uno strumento esterno, meccanico, oggettivo.
Ora, immaginate di sostituire il cronometro con una giuria che stabilisce, a suo insindacabile giudizio (e senza dover dare spiegazioni), chi ha corso meglio. Magari “tenendo conto” anche dei tempi, eh, per carità. Sarebbe lo stesso sport?
Intendiamoci: ce ne sono diversi, anche olimpici, che funzionano così. Come approccio è del tutto legittimo, non voglio dire che non vada bene in assoluto. Il mio punto è solo che cambiando quella “piccola” cosa diventa uno sport completamente diverso, perché è diverso lo scopo ultimo, il goal. Non si tratta più di correre per arrivare prima degli altri, bensì di correre per dimostrare alla giuria che siamo corridori più bravi degli altri.
Ora torniamo al nostro incontro di D&D: quale vogliamo che sia lo scopo ultimo dei giocatori? Vogliamo che lo affrontino per superarlo (in base a una metrica oggettiva), o per dimostrare al loro Diemme che [inserire qui il criterio]?
Notare la clausola tra parentesi quadre: non ho specificato il criterio, perché ai fini di questo ragionamento non ha nessuna importanza. Qualunque sia la metrica su cui io, Diemme, mi baserò per usare la “pratica Colville” ritoccando l’incontro, lo scopo del gioco sarà comunque passato da superare la sfida a persuadermi di qualcosa (es. che è stato abbastanza difficile, o abbastanza meritato, o abbastanza divertente, o altro ancora).
Non ha importanza nemmeno se i giocatori sono consapevoli che lo sto facendo. Il gioco è un continuo ciclo di retroazione tra il comportamento dei PG e le sue conseguenze, e l’adattamento dei giocatori è perlopiù inconscio. Anche se nessuno di noi se ne accorge, più usiamo la “pratica Colville” e più ci addestriamo a vicenda a giocare a “dimostra la tal cosa al Diemme”.
Di nuovo, non è una differenza marginale: è un totale stravolgimento del gameplay.
So che questa cosa è dura da ingoiare. Se avete letto fin qui e la vostra reazione è di rifiuto, vi capisco. Prendetevi qualche giorno per rifletterci.
Ma credetemi: checché ne dica Mr. Colville, è molto, molto meglio se l’encounter design lo stoppiamo, quando viene tirata l’iniziativa.
Quindi, se ho sbagliato, che faccio?
Potevo fermarmi qui… eppure, può capitare di sbagliare nel progettare un incontro. Noi Diemme, in genere, creiamo lo scenario con dei criteri, non a casaccio; ciò significa che possiamo commettere errori. E potremmo accorgercene troppo tardi: cioè, quando l’incontro è in corso.
Magari è proprio un errore tecnico: il mostro ha troppi punti ferita, o troppo pochi; la stanza del tesoro è tecnicamente irraggiungibile; il colpevole del delitto è evidente dal primo momento, per uno sciocco dettaglio.
Magari, invece, tutto funziona più o meno a dovere, ma ci accorgiamo che non è divertente da giocare, anche se pensavamo che lo fosse.
In entrambi i casi, se non vogliamo fare il tweaking, il “design che non si stoppa” in stile Colville, cos’altro possiamo fare?
La domanda è valida e non pretendo di avere una risposta universale (cosa ironica, penserete voi, visto che sono stato a pontificare fino a ora). Ma posso dirvi che cosa farei io. E sia chiaro: parlo di cosa farei adesso, dopo più di due decenni in cui mi è capitato anche di commettere l’errore del “ritocco in corsa di nascosto”.
Mi fermerei e direi: “Ragazzi, ragazze, ho sbagliato questa cosa, mi dispiace. Propongo di rimediare in questo modo, che ne pensate?”.
Di solito, le reazioni dei miei colleghi Diemme a questa tesi si dividono tra delusione, incredulità e indignazione. Eppure questo approccio risolve come per incanto tutti i problemi di cui ho parlato fin qui. Permette anche ai giocatori di esprimersi (i loro suggerimenti possono essere molto utili!), e rafforza il rapporto di chiarezza e fiducia al tavolo.
Questo, ammesso che lo sbaglio sia così grosso che sia davvero necessario fermarsi a correggerlo. In molti casi non è così! L’incontro è più “facile” o più “difficile” del previsto? Pazienza. I miei giocatori sanno che la difficoltà non è sempre la stessa, e non danno per scontato di dover sempre vincere; né io do per scontato che debbano sempre sudare le sette camicie. L’incontro non è “divertente” come speravo? Pazienza. Il livello di divertimento, emozione, entusiasmo non è sempre lo stesso, è normale. Posso andare avanti e confidare che il prossimo incontro vada meglio. In seguito rifletterò su cosa è andato storto e ne terrò conto nel progettare le avventure future.
Nelle prossime puntate…
Qui finisce (spero) il discorso sui “trucchi” da dietro lo schermo, anche se non potrò fare a meno di menzionare il tema di sfuggita mentre ne tratterò altri. Mi sono dilungato proprio per non occupare altri episodi ancora. Grazie a chi è riuscito a leggere fino in fondo! 🥰
La serie, però, è appena all’inizio: ci sono tanti altri consigli che trovo poco utili o addirittura dannosi per i neo-Diemme. Nel prossimo episodio parleremo di morte dei PG.
Per approfondire:
Matt Colville non è nuovo a scivolare su questi argomenti. Gli va riconosciuto, quantomeno, che prende una posizione coerente su di essi e ci mette la faccia: tanti altri youtuber o blogger evitano accuratamente di menzionarli… non sia mai che si perda qualche seguace.
In un altro video, Fudging die rolls, parla proprio della questione dei “tiri di dado truccati” che abbiamo trattato nello scorso episodio (e su cui ho fatto un bel sondaggio). Colville giustifica ampiamente quella pratica, e dichiara di truccare in media un tiro per sessione.
La sua posizione differisce molto dalla mia, e non la starò a dissezionare frase per frase: quello che dovevo dire l’ho già detto. Richiamerò la vostra attenzione solo su due punti.
Primo: la sua concezione della figura del Diemme. Fateci caso. “It’s your job to create drama” (= il tuo compito è creare drama). Bisogna alterare i risultati (usa anche l’espressione curate results, che è buffa e agghiacciante insieme) “to make it feel realistic and dramatic and fun” (= per far sì che [la situazione] sia sentita come realistica, drammatica e divertente). Io non penso affatto che il compito di un Diemme di D&D sia creare drama, né creare alcuno specifico feeling, sentimento, nei giocatori. Ma potremmo limitarci a definirla una marcata differenza di stile.
Secondo, e questa è più grave: la sua concezione del consenso e della fiducia al tavolo. Sentite bene questo passaggio:
I do a lot of work behind the scenes to make sure the players are not even aware I have fudged the die rolls. I will even go so far to have a pre-rolled result behind the screen so that if the players challenge the reality of the roll, which they often do when things get incredibly tense and dramatic, I can lift up the screen and show them the result of the fake roll. […] They want to believe that the results were fair – but fairness and randomness… I don’t think are very closely related.
(Mi do molto da fare dietro le quinte per assicurarmi che i giocatori non siano consapevoli che trucco i dadi. Arrivo addirittura al punto di posizionare il dado, dietro lo schermo, sulla faccia che voglio, in modo che se i giocatori dubitano della validità del tiro, cosa che fanno spesso quando la situazione si fa tesa e drammatica, posso alzare lo schermo e mostrare loro il finto risultato. […] Quello che loro vogliono è credere che il tiro fosse leale, ma io penso che la lealtà non c’entri molto con la casualità.)
Matt Colville, traduzione ed enfasi mia
Ora, io sono tollerante, rispetto gli stili di gioco diversi dai miei. Dico con franchezza come la penso e do consigli, ma si può essere in disaccordo con me ed essere comunque ottimi giocatori o Diemme: il mondo è bello perché è vario. In questo caso, però, guardate quanta tossicità c’è in quel discorso! Perfino quando i giocatori chiedono apertamente la lealtà nei tiri di dado, lui si arroga comunque il diritto di imbrogliarli, confezionando trucchetti da scuola elementare per non farsi beccare, il tutto perché è convinto di sapere lui, meglio di loro, che cosa vogliono davvero. Lettori e lettrici: se anche voi vi comportate così, per favore smettete. Ve lo dico col cuore.
Ci sarebbe anche un terzo punto, molto filosofico, che è il discorso che fa sul rapporto tra i dadi e il Fato: ma quello è così affascinante che mi riservo di scriverci un’intera digressione a parte, in futuro.
Ah, giusto per cultura generale: sul Kriegsspiel (verso un terzo del video) Colville dice delle enormi sciocchezze. I referee di Kriegsspiel facevano ruling (e home ruling), non fudging. Differenza che spero di aver chiarito in questo articolo (ma un esperto come lui doveva saperla). Se volete sapere la vera storia del Kriegsspiel, e del suo “rinascimento” moderno, leggete questo splendido post su Eclectica a cura di Zeruhur.
Concludo questa lunga trattazione con un buon link del solito The Angry GM (lingua inglese; vedasi letture consigliate per più info). Risponde a un lettore che sostanzialmente gli ha chiesto: “che cosa fare se ci accorgiamo di aver sbagliato a bilanciare un combattimento?”.
Riassumendo per sommi capi, Angry dice che ci sono due alternative. Possiamo nascondere l’errore dietro le quinte, anche alterando al volo i punti ferita o le altre statistiche di una creatura (fa proprio questo esempio), ma significa considerare i giocatori principalmente come spettatori (“that’s treating the players like an audience“). Oppure possiamo dire apertamente “ho sbagliato” (lui usa un’espressione un po’ più scurrile), cosa che va a beneficio del gioco anche se ricorda ai giocatori che ne stanno giocando uno e che noi, Diemme, non siamo infallibili. Angry qui non si schiera apertamente in favore della seconda ipotesi, anche se va detto che è un articolo vecchio e in seguito le sue prese di posizione in materia sono state abbastanza nette.
Il grosso del suo pezzo, però, è dedicato a smantellare quei retropensieri che stanno dietro la domanda. Perché lo sbaglio non può essere lasciato com’è, perché rischia di deragliare il gioco? Generalmente, perché abbiamo costruito nei giocatori, e in noi stessi, l’aspettativa che combattere non abbia alternative: che non si possa fuggire, o negoziare, o aggirare il nemico; i PG devono combattere e devono vincere, altrimenti finisce il gioco. Questa, secondo lui, è la vera causa del problema, di cui dovremmo occuparci. E forse ne riparleremo in futuro.
Complimenti per il mattone🤣 molto interessante pero’.
Io ho gia’ detto piu’ volte che tiro i dadi davanti a tutti, per me e’ il bello del gioco sta anche nell’imprevedibile.
Non sono solito a ritocchi in corsa anche se in passato (da inesperto) l’ho fatto..
Credo che il nodo della questione sia che i DM, in particolare i novizi, abbiano idea di dover creare per forza situazioni tese, intense, “da film” in ogni sessione ed io non sono molto in accordo su questo punto, secondo me basta attendere e giocare, col tempo saranno i dadi stessi a creare la situazione tesa con i loro alti e bassi e le situazioni tese si alterneranno a quelle troppo facili.
E, guarda, entrambi i casi (almeno al mio tavolo) risultano molto divertenti perche’ inaspettate.
Insomma: valutando le sessioni non una per una ma come un insieme che perdura nel tempo, le situazioni passano tutte.
E’ il bello del gioco.
Termino sul consiglio di fermarsi ad ammettere l’errore coi giocatori. E’ un approccio molto onesto, non facile da esprimere per molti caratteri.. forse verrebbe presa come onesta’ e guadangeresti fiducia ma potrebbe essere anche presa per incompetenza e, in questo caso, la fiducia andrebbe persa.
Io non mi sono mai attentato a farlo.. dopo questo articolo mi prometto di provarci.
Grazie davvero per questo commento!
Le tue considerazioni sono molto sensate. Mi ha colpito specialmente quella sulla paura del “giudizio di incompetenza”: è vero, è un problema che esiste, perché intorno alla figura del Diemme si è creato un sistema di aspettative davvero sproporzionato.
Commento alla parte 1
(sono tante parti, commenterò man mano così il dio algoritmo è contento)
“Se ci viene da pensare che “non è giusto che il mostro faccia tre 1 naturale di fila” dovremmo riflettere un attimo su cosa abbiamo progettato. Il mostro usa il d20. Il d20 può fare 1. Se davvero non lo crediamo giusto, perché lo abbiamo progettato così? È come se Antonio, nell’esempio, si lamentasse quando il PG fa tre salti buoni di seguito.”
Da buon filosofo mi ritrovo a negare gli assiomi fondamentali del discorso. Il primo fra tutti è la temporalità “Se davvero non lo crediamo giusto, perché lo abbiamo progettato così?” perché non sappiamo cosa stiamo facendo. Perché quando ci rendiamo conto che non crediamo giusto che vada così siamo già in mezzo all’azione. Visto che si vive solo nel presente, si sceglie solo nel presente. Non sapere cosa si sta facendo, cavalcare l’onda a braccio è parte integrante di cosa è essere un master. Anche se si giocano solo moduli pre fatti.
Il secondo assioma è il master antagonista che è triste se i suoi giocatori riescono facilmente in qualcosa ” È come se Antonio, nell’esempio, si lamentasse quando il PG fa tre salti buoni di seguito.” guardando il video o dall’analisi delle frasi incriminate, non si vede da nessuna parte un sostegno a questo atteggiamento che è la causa di tanti problemi alla radice del discorso per cui il consiglio incriminato non è un buon consiglio.
Essere dei cattivi master non deriva dall’aggiustare i mostri in corsa, anche se a volte i cattivi master aggiustano anche i mostri in corsa.
Il problema non è aggiustare o meno, è essere antagonistici.
Terzo assioma: il gioco. Tralasciando il commento “Se non ci piace, dovremmo considerare di cambiare gioco.” che fa sorridere sapendo che non giochi il gioco di cui parla Colville, date 4 ore, per come la 5e è costruita, un singolo goblin nudo non potrà mai sconfiggere un parti di 7 giocatori di 13esimo livello. Anche se lanciasse un’incomprensibile serie di 20 naturali e loro, tutti e sette, una serie di 1 naturali. Semplicemente perché esistono oggetti e magie che non richiedono tiri per fare danni o fare effetti.
Questa possibilità (un incontro può andare sorprendentemente bene o male) si presenta solo quando il combattimento è bilanciato, e qui arriviamo al quarto assima.
Il bilanciamento non è una tassa sulle risorse (che è un pensiero tipico di 3.5 ed affini e capisco con da che spirito derivi). Il bilanciamento, specialmente in 5e, è il raffronto (proprio come dice C. nel video) fra le abilità e le azioni dei due concorrenti all’incontro.
Quando si prepara non ha senso bilanciare per risorse sottratte, ha senso bilanciare per potenza di fuoco. Quanto danno sono in grado di fare in un turno? Quante azioni? Quante magie e di che tipo?
Non quale dado può andare dove e neanche cosa succede se i miei giocatori non vengono colpiti. Quello che si bilancia è il rateo di fuoco.
Il quinto è ultimo assioma è pensare che il combattimento è un pacchetto di carte collezionabili che si apre e poi rivela il suo contenuto. Ossia un gioco in cui si posizionano i pezzi e poi si lascia che il caso costituisca la mano finale. Non c’è nessun motivo per pensare ciò. Pensare questo è uno stile di gioco, che io credo essere poco funzionale all’esperienza di gioco epico (che D&D vorrebbe racchiudere).
Nulla ci vieta infatti di pensare che l’inizio di ogni round sia l’aprire una busta nuova. Vedere l’inizio del turno come un nuovo problema, scollegato dal turno precedente (mantenendo chiaramente il minimo necessario alla continuità, non sto dicendo di cambiare scacchiera ogni turno), ci aiuta anche a decidere che nuovo twist metterci. A questo punto, data questa premessa (che come detto è una premessa esterna alle regole, e deriva unicamente dalla tradizione di gioco), che quel mago avesse o meno preparato un incantesimo specifico che io ritengo essere più divertente (per tutti, non come il buon Antonio che pensa solo a se stesso) allora qual è il problema di darglielo? Il gioco è adesso non ieri che ho preparato. Perché lo avevo preparato diversamente? Non sapevo ci saremmo trovati in questa situazione. Decidendo che ogni turno è un problema nuovo, perché rimanere ancorati alle idee iniziali. Che virtù c’è in lasciarsi passare sotto il naso la perfetta azione per rendere quelle ore più intense?
Se il problema è solo “chi mi da il diritto di scegliere quello che preferisco” la risposta è il tavolo. I miei giocatori stanno giocando un’esperienza che io decido per loro, se questo accordo non funziona ci sono mille modi per risolverlo.
Dato tutto questo (ed è tanto da dare mi rendo conto) io argomento che il consiglie, a questo punto del discorso, è in realtà un buon consiglio.
Dato il non sapere cosa si sta facendo, il non essere antagonisti, il comprendere il gioco come esperienza eroica, il bilanciare per potenza di fuoco e pensare che ogni turno sia una nuova sfida da implementare; il consiglio di Colville ci spinge a provare a creare una realtà di gioco più dinamica, invece che semplicemente riempire i dati dell’equazione ogni tiro che passa.
Carissimo! Hai messo tantissima carne al fuoco – ho cominciato io, ben mi sta! 🙂
In breve, giochiamo in modo sostanzialmente diverso, e questo è bellissimo (purché sia chiaro). Direi che questa differenza è ben catturata dal mio articolo.
Dall’ultima parte del tuo commento estrapolo che il “loop di gioco” del tuo tavolo sia (semplificando molto) questo qui:
– I giocatori fanno fare delle cose ai loro PG
– Applicando le regole e la sua preparazione, il Diemme determina le conseguenze
– Poi guarda il tavolo e si chiede: queste conseguenze ci faranno divertire tutti abbastanza? Sono quelle che ci farebbero divertire di più?
– Se sì, le applica. Se no, modifica le regole e/o la preparazione allo scopo di conseguire un maggiore divertimento per tutti.
È proprio quello che ho descritto nel “punto quarto” con la metafora dello “sport con la giuria”: l’esito di un’azione è quello che il Diemme giudica più divertente per tutti; l’incontro finisce quando il Diemme giudica più divertente per tutti che finisca; stiamo giocando a: “dimostriamoci a vicenda che ci siamo divertiti abbastanza”.
Va benissimo. Non ha niente di malvagio. È solo un altro gioco.
È interessante notare, tra l’altro, che questo in realtà non richiede regole o meccaniche, visto che possono essere sempre sovrascritte dalla considerazione sul maggiore divertimento, che rimane il primo fattore decisionale. La funzione delle regole diventa quella di dare spunti e suggerimenti. Ci tornerò in un altro articolo (extra rispetto a questa serie).
Dubito che questo stile catturi meglio l’essenza di D&D 5e rispetto a quello che raccomando io (il fatto che richieda spesso di bypassare le regole dovrebbe esserne già una dimostrazione), ma non sono interessato a discutere di cosa sia “il Vero D&D” o “il Vero D&D 5e”; quindi, se vuoi affermare che l’essenza di D&D 5e è più presente al tuo tavolo che non al mio, non lo contesterò.
Alcune altre note molto brevi.
Forse tendi a prendere gli esempi in modo più assolutistico del necessario. Sono solo esempi: mostrano un caso particolare, non l’intero principio.
Il “master antagonista” Antonio l’ho aggiunto perché proprio tu, nei commenti allo scorso episodio, mi avevi rimproverato di aver fatto solo esempi di master bonaccioni che volevano aiutare e proteggere i PG. Non ti va bene niente! 😉
Ma non è vero che sia un assioma fondamentale del mio ragionamento: esso fila benissimo anche se immaginiamo il PG che sbaglia il salto e finisce arrosto, e Antonio che si pente e si fa venire i sensi di colpa; oppure, se immaginiamo che, comunque vadano i salti, i giocatori sbuffino “uffa, che noia questo incontro!” (anche senza dirlo ad alta voce), e Antonio se ne dispiaccia.
Anche quello sul singolo coboldo nudo che fa TPK è un esempio estremo che non devi prendere alla lettera. È ovvio che un gruppo di PG di livello alto, e dotato di molta magia, ha una probabilità di TPK pari a 0 con il coboldo nudo, ma è altrettanto ovvio che a quel punto non si pone il problema di cui parlavo, che era il TPK inaspettato (dal Diemme); se il Diemme progetta l’incontro in modo che il TPK sia possibile (improbabile, ma possibile), e poi rimane scioccato quando avviene, e corregge le cose in corsa per non farlo avvenire, allora si ha la buffa dissociazione di cui mi interessava parlare. Essa è ancora più buffa se si aggiunge la tua considerazione: cioè che, volendo impegnarsi un po’, c’era modo di progettare l’incontro in modo che la probabilità di TPK fosse davvero 0.
Sul discorso che bisogna progettare la potenza di fuoco, e non le risorse sottratte, sono totalmente d’accordo con te! È proprio quello il senso del mio “punto primo”. (E ti assicuro che vale anche per D&D 3.5, e per ogni edizione di D&D e affini che io conosca.)
Progetti la potenza di fuoco, mentre le risorse spese saranno una conseguenza dell’interazione tra quella potenza di fuoco, i PG, le regole e i dadi; quindi non le bilanci, non le controlli.
Se invece, ad incontro in corso, i dadi girano male e vedi che le risorse spese non sono quelle che ti aspettavi, e quindi cambi la potenza di fuoco per farne spendere di più o di meno, ecco che stai cercando di progettare non più la potenza di fuoco ma proprio le risorse spese.
Quanto al “quinto assioma”: confermo, si apre il pacchetto una volta e si accetta quello che ne esce. Non sono d’accordo che non ci sia motivo di fare così: ci sono molti ottimi motivi, che ho argomentato in questo articolo e nel precedente. Ma può non piacerti, perché tu legittimamente cerchi un gioco diverso (non uno in cui i pacchetti si aprono ad ogni round, bensì uno in cui il Diemme ha già aperto tutti i pacchetti possibili, e sceglie ad ogni round le carte che divertiranno di più il gruppo, fingendo che siano uscite per caso da un pacchetto). Lo rispetto, è un valido modo di giocare, ma non è il mio.
Comunque ti ringrazio molto per questo commento, perché lo scambio tra punti di vista diversi è utile e fa crescere.
Permettimi solo una chiosa veloce.
Io, nel modo che dici tu, ci ho giocato per alcuni anni. L’ho abbandonato perché non è più un modo di giocare che mi soddisfa, anzi, mi va stretto e mi infastidisce.
Tu hai mai provato a giocare, e/o masterare, un’avventura di D&D (non una one shot, eh: una abbastanza lunga) nel modo che dico io?
Lo chiedo perché, nella mia (limitata) esperienza, quando si prova a farlo succede una di queste cose:
A) Ci si rende conto che il gioco ci diverte molto di più, e non si vuole più tornare indietro (è quello che è successo a me)
B) Ci si rende conto che D&D è inadatto ai nostri scopi e al nostro modo di divertirci, e si passa ad altri sistemi. Come Not the End, che conosci meglio di me. Quello ti piace: eppure lì non si può truccare niente (gli esiti del randomizzatore sono tutti in chiaro), e dubito anche che si possa usare la “pratica Colville”… confermi?
Ciao, io provengo dalle vecchia scatola rossa, con un DM che improvvisava il 90% delle avventure e con cui mi sono formato. Aveva una capacità incredibile di creare situazioni inaspettate e divertenti. Ricordo quella volta che all’interno di una tana di un drago, abbiamo aperto un forziere e siamo stati circondati da una moltitudine di batuffoli simili a manciate di zucchero filato, ma senzienti, che si duplicavano ad ogni round ed abbiamo rischiato di soffocare.
Credo che gli scontri fossero “a sentimento” e sicuramente dietro quello schermo i dadi non sempre erano tirati per avere un responso, ma più per creare tensione. “Il Master ha tirato un dado, sta accadendo qualcosa”.
Questo genere di metagame che il PG “avrebbe dovuto ignorare”(ma il giocatore avvertiva, eccome), rendeva tutto più intrigante poiché il DM interveniva sul creare atmosfera al tavolo e i giocatori erano partecipi di questo patto narrativo. Sapevamo che il DM poteva “giocare” con le nostre emozioni ed aspettative, ma a noi andava bene, poiché si percepiva il gusto dell’avventura inaspettata.
Ai giorni nostri i gusti sono cambiati, vi sono molti che giocano con DM che usano i “dadi scoperti” o senza schermo e che desiderano essere artefici del proprio destino.
Non so se ciò sia dovuto come controtendenza o risposta al genere di gioco che ho descritto più sopra o se sia dovuto all’adattamento che molti di noi hanno con un’altra passione, ovvero il videogioco o Gioco di Ruolo su PC. Li i nemici sono quelli, se riesci ad affrontarli o meno è tutto dovuto a come hai costruito il tuo PG per quel combattimento. Non c’è un DM che interviene a bilanciare l’incontro.
I gusti son gusti e non mi azzardo a giudicare il gioco delle persone (ad esempio a me non piace giocare campagne malvage, non mi ritrovo), tuttavia provenendo da quegli anni, sento tutt’ora la nostalgia di essere come DM, non un mero esecutore di lancio di dadi, ma un creatore di storie emozionanti.
Anche con un’avventura prefatta (hardcover come vengono chiamate ora), sento l’esigenza di farla mia in quanto come giocatore, amo personalizzare mondi ed avvenimenti.
Come in un confronto di Role Play posso decidere che il giocatore ha giocato bene e si merita di ottenere l’informazione ricercata, in una battaglia tasto l’aria e la adatto al volo, non con lo scopo di uccidere a tutti i costi o a salvare a tutti i costi, ma per rendere quel confronto emozionante e divertente, tutt’altro che scontato a maggior ragione oggi che molti giocatori conoscono a menadito le stats dei mostri.
Questo è un argomento scivoloso difficile da spiegare a capire, ma per quanto mi riguarda è la differenza tra una battaglia di un wargame e quella in un gioco di ruolo. Come regista accelero il ritmo o lo rallento in modo che i giocatori, anche coloro che a fine combattimento hanno il PG a terra morto, non vadano a casa frustrati. Non ci devono essere situazioni scontate, salvo quelle che portano alla morte certa come farsi un bagno nella lava 😀
Per concludere, capisco benissimo i suggerimenti di Colville e capisco anche che non possano piacere a tutti. Io credo che il sistema migliore, soprattutto tra giocatori che non si conoscono, sia quello di mettere in chiaro fin dalla prima partita questi aspetti.
Poiché, dato che lo scopo è divertirsi, DM compreso, è importante che tutti siano allineati sulla stessa idea di divertimento.
Ad esempio a me non piace fare sessioni di sola battaglia, anzi anche se non si combatte sto bene lo stesso, sono molto più attirato dalla storia e i mie PG sono Versatili. Ad altri invece piace combattere e se non c’è almeno un tiro per colpire ad avventura, pensano di aver perduto tempo.
Chi ha ragione?
Alla prossima 🙂
Ciao! Grazie di questo commento.
Una rapida precisazione: forse ho capito male, ma sembra che tu sia convinto che il “patto narrativo” per cui il Diemme “crea atmosfera” al tavolo, giocando con emozioni e aspettive dei giocatori, sia storicamente precedente all’altro approccio, quello “rigoroso” col Diemme-arbitro, che vedi come una tendenza moderna influenzata dai videogiochi.
Posso assicurarti che è il contrario – tant’è vero che chi oggi si proclama “old school” rifiuta decisamente, in genere, ogni approccio che non sia rigorosamente arbitrale.
D&D nasce da una costola dei wargame e il suo regolamento è chiaramente strutturato per la “sfida leale” (diciamo così). Le questioni “narrative” sono un’aggiunta successiva (non a caso non supportata dalle regole, che quindi all’occorrenza si sente il bisogno di forzare) che è “esplosa” all’epoca di Dragonlance.
Non che faccia alcuna differenza: la “primogenitura” non è sinonimo di maggiore funzionalità. Era solo per chiarire.
Per il resto: sono d’accordo con te che l’importante è parlarne chiaramente (qualcuno semmai dovrebbe spiegarlo a Colville, vedi appendice).
Per quanto mi riguarda, io amo le sorprese e le situazioni non scontate. Non mi sento un mero esecutore di lancio di dadi, ma un creatore di storie emozionanti. Amo personalizzare tutto: mostri, ambientazioni e avventure. Il gioco al mio tavolo è emozionante e divertente: confermato anche dai giocatori, di molti gruppi diversi, tra cui perfetti sconosciuti.
Solo per dire che eliminare le procedure che ho criticato in questo articolo, e nel precedente, non significa privarsi di nessuna di queste altre cose.
Ciao.
Mi permetto di aggiungere il mio pensiero al tuo.
Leggo che non sai individuare con certezza il motivo che induce i DM a tirare i dadi scoperti e, poiche’ io ora li tiro davanti a tutti, vorrei raccontare la mia esperienza:
Io ho iniziato a giocare dalla scatola rossa come te, ho vissuto come te le partite improvvisate e come te mi sono emozionato sulle storie “aggiustate” sull’epicita’. Comprendo e condivido tutto cio’ che dici ma..
Per semplice curiosita’ ho voluto provare a tirare i dadi allo scoperto, non mi sentivo in grado di giudicare un gioco differente dal mio ed ho voluto provare.
Beh.. e’ successa una cosa che non mi aspettavo: i dadi hanno stupito anche me, mi sono sinceramente divertito assieme ai giocatori, mi sono sentito un creatore di storie non piu’ PER loro ma CON loro.
Non so se tu lo hai mai provato, ti consiglio di farlo, poi magari non ti piace, i gusti sono gusti, ma una prova andrebbe fatta.
Sull’ultima domanda che poni, il “chi ha ragione” a mio parere hanno ragione entrambi perche’ ogni gruppo deve decidere il modo che lo diverte di piu’ e non importa se sia combattere o agire di storia, cio’ che piu’ diverte quel gruppo e’ sempre giusto.
💚💚💚
Ciao, tiro i dadi scoperti nella partite di Adventurers League e ti dirò, non è scattata quella magia che descrivi Gabriele, probabilmente dipenderà dalla mia impostazione o formazione. Non so se sia dovuto al fatto che ho giocato per almeno 10 anni (i miei primi 10 anni) con lo stesso gruppo di giocatori fino a che non mi sono aperto all’associazionismo. Da un lato mi deresponsabilizza sul fato di alcuni combattimenti, anche se come DM posso sempre intervenire in molti altri modi. Però quella sensazione che si prova a tirare un dado a caso dietro lo schermo quando i giocatori sono distratti, è per me impagabile. Sarò metagame ma che goduria 😀
Può darsi. Hai mai provato, quando i giocatori sono distratti, a tirare un dado scoperto (non nascosto) e non a caso ma con un ben preciso significato (es. su una tabella di incontri casuali)? Io lo faccio. 🙂
Ciao! Sul bilanciamento c’è un “problema” fondamentale: in tutti i manuali di D&D (dalla 3.x in poi) si usa il termine come “quantità di risorse che dovrebbero spendere i PG”: inutile (da non fare), facile, media, difficile, mortale (in via teorica da non fare, ma qui si tirano fuori altri problemi). La facile fa spendere poco e niente di risorse ai PG, la media una certa quantità (variabile da edizione ad edizione), difficile ne fa spendere un botto. Col mortale si rischia il TKP. Nota: a seconda dell’edizione e dei livelli, questa “quantità di risorse da spendere” può variare: al basso livello la morte di un PG è gravissima, all’alto è solo la perdita di un incantesimo (cit.).
Ovviamente così facendo, di fatto il bilanciamento significa come dovrebbe andare lo scontro.
D’altronde è esattamente quello che ti serve quando progetti un incontro: questo mostro (od insieme di mostri) è affrontabile dai PG? Con quante perdite? Hanno la possibilità di comprendere? Di fuggire? di trattare? Mille domande che si basano sulle risorse a disposizione dei PG e su quante ne dovranno spendere.
Personalmente parlando, io sono uno che bara sui dadi (già detto altre volte), non lo nascondo ma non lo dico perché non mi passa manco per l’anticamera del cervello di dirlo. Però non mi è mai capitato di variare i punteggi di un mostro in corso d’opera, anche quando mi accorgevo che era troppo forte. Da sempre. Solo ultimamente ho scoperto perché: perché io come DM ho risorse infinite, a differenza dei personaggi! Questo incontro è stato troppo facile? Posso variare il successivo! È stato troppo difficile (evitando il TKP)? Varierò il successivo! Non è stato “soddisfacente”? Ci proviamo col successivo! Ho il totale controllo sugli incontri!
Ciao 🙂
PS: l’ingannare girando il dado dal lato giusto, mi sembra il trucco di un bambino di tre anni che non vuole perdere. Non mi è mai capitato che qualcuno dubitasse del risultato del dado, anzi a volte ero io a sollevare lo schermo per mostrare il risultato che mi ha stupito (un TS che riusciva solo col 20 ed è uscito 20!)
La difficoltà “nominale” degli incontri, per poter diventare un “numeretto” (che poi è solo un parametro approssimato, una linea-guida, non potrà mai essere una scienza esatta), deve basarsi su un qualche criterio di riferimento. Nelle edizioni moderne di D&D, si usano le risorse che in media verranno consumate da un gruppo “tipico” di 4 PG. Non vuol dire che quando verrà giocato l’incontro avverrà esattamente quello. Vuol dire che, se giochi un numero abbastanza grande di incontri di quel tipo, e il tuo gruppo si avvicina abbastanza a quello standard, alla lunga l’esito medio sarà quello. Poi è ovvio che un manuale di GdR non possa mettersi a fare pipponi sulla statistica. Ma è altrettanto ovvio che se il gioco è basato sui dadi, soprattutto sul d20 che è un dado ad altissima variabilità, è un controsenso aspettarsi che l’esito di un incontro possa essere previsto in maniera precisa, e debba addirittura essere “corretto” di nascosto dal Diemme quando devia da quell’aspettativa.
Chiaro che esistono incontri più pericolosi di altri: incontri che hanno una maggiore “potenza di fuoco” (ne parlavo sopra con johnkreuz), e quindi una maggiore potenzialità di far consumare risorse. Infatti non ho detto che il bilanciamento sia sbagliato o impossibile: ho detto che riguarda la situazione e non l’esito. Riguarda, appunto, la “potenza di fuoco” del nemico.
I Gradi di Sfida (o simili) sono, appunto, una misura di quella “potenza di fuoco”. Misurata come? Beh, prendendo il mostro e facendolo scontrare migliaia di volte con un ipotetico gruppo standard di PG.
Ma in quelle migliaia di volte ci saranno state quelle col TPK e quelle col mostro steso senza nemmeno scalfire un PG di striscio, con tutte le vie di mezzo. Sono casi possibili. Si usa la media come stima della “potenza di fuoco”, non come pretesa che ogni scontro, nel gioco reale, debba realmente aderire a quella media. Altrimenti tanto vale mettere via i dadi e fare che sconfiggere il mostro costa un numero fisso di risorse: le spendi, e il mostro scompare. Rapido e indolore.
Sulla seconda parte ho una domanda, o meglio, una curiosità: perché quella scoperta che hai fatto, come dici, sulle risorse infinite e il fatto che dopo ogni incontro tanto ce n’è un altro, ti ha portato a non variare i punteggi in corso d’opera, ma non ti ha portato a non truccare i dadi?
Si riassume in tre parole: Total Kill Party! Se lo scontro porta alla morte di tutto il gruppo, non c’è un incontro successivo da poter usare 🙂
Ciao 🙂
Beh, ma certo che c’è: c’è quello con il gruppo successivo (nuovi personaggi).
D’altronde, se le risorse non possono mai arrivare a zero (= TPK), a che serve regolare la spesa di risorse?