Tutti gli -ismi del GdR (guidare il gioco, parte 3)

Abbiamo gettato, nelle due parti precedenti (qui e qui) di questa mini-serie, le basi per quanto riguarda la conduzione di un’avventura al tavolo, alle prese con quell’inevitabile (e fastidiosissimo, e bellissimo) elemento di imprevedibilità dato dai giocatori.

C’è poco da aggiungere a queste basi: non c’è una procedura sofisticata da adottare, solo pochi princìpi elementari e tanta buona volontà (e preparazione, che è comunque utile; e improvvisazione, quando serve).

Ma ci sono alcune trappole a cui stare attenti. Trappole a cui i teorici del gioco hanno dato dei nomi, e a cui io mi sentirò libero di dare altri nomi. Non sono sempre cose cattive, ma da Diemme è utile rifletterci sopra. Vediamole insieme.

Prima di cominciare, voglio ringraziare il mio assiduo lettore Red Dragon per avermi fornito alcuni spunti di partenza fondamentali per questo articolo.

Premessa metodologica: questo è un articolo divulgativo e leggero, a tratti scherzoso. Non pretende di essere formalmente corretto. Un Vero Guru del GdR che mangia Forgia a colazione ci troverebbe più errori che virgole. E va bene così. Non è un saggio di teoria / storia del GdR. È solo la mia visione personale di come giocare meglio a D&D, e di quali approcci possono causare problemi, condita con accenni, brutalmente semplificati, a concetti che spesso si sentono nominare e di cui non pretendo qui di dare una trattazione completa né accurata. Insomma, meglio se badate alla sostanza senza attaccarvi alla forma.

Disclaimer:

Qui si parla di situazioni, non di eventi. Le “ancore” e le “boe” si riferiscono a dati di fatto contenuti nella preparazione della giocata, non a cose che devono succedere in una sequenza temporale. Si parla della preparazione pre-sessione (che deve contenere, appunto, situazioni) e di come renderla flessibile o usarla in modo flessibile. Non si parla di portare la storia alla conclusione voluta, far andare gli eventi come previsto, o altre cose simili che sono lontane anni luce dal mio D&D. Ringrazio Ranocchio che mi ha segnalato questa possibile ambiguità. Si prega di leggere la premessa (Non è come – forse – sembra) prima di incorrere in equivoci.

Avvertenza extra: prima di arrabbiarvi per ciò che leggerete, aspettate di aver letto anche il mega-disclaimer che c’è alla fine!

Costrizionismo (= railroad negativo)

Questo è un termine che ho inventato io. Il termine esatto, usato comunemente nella comunità dei GdR, è railroad. Ma non va confuso con la “linea ferroviaria” di cui ho parlato in quest’altro articolo, cioè l’approccio, del tutto lecito, in cui è il Diemme a scegliere l’obiettivo delle avventure e della campagna. Qui parliamo invece del railroad nefasto, quello più propriamente detto, come ho chiarito in seguito spiegando la terminologia.

Si ha quando il Diemme usa vari espedienti per obbligare i giocatori a determinate scelte, di fatto annullando, o riducendo ai minimi termini, la loro agency.

Immagine by Winston Rowtree

L’approccio costrizionista è relativamente facile da riconoscere. I giocatori scelgono una strada imprevista? Anziché gestire la virata (vedi articolo precedente) il Diemme si inventa qualcosa per bloccarli e indurli a tornare indietro. I giocatori scelgono un approccio imprevisto all’interno di un incontro? Il Diemme fa in modo che non funzioni.

In base alla terminologia dello scorso episodio sono tutti veri e propri iceberg!

Esempio di vita vissuta. I PG scassinano la serratura di una camera in cui non era previsto che entrassero, e guardacaso, proprio in quel momento, appare una guardia che li scopre. I PG cercano di inseguirla, e quella fugge in cortile chiudendosi una porta alle spalle con un chiavistello. Dall’esterno. (Giuro che l’ho visto succedere… 😅)

Di fatto il Diemme “punisce” i giocatori ogni volta che non si comportano come lui aveva previsto. È qualcosa di particolarmente sgradevole e tende a creare inutili conflittualità e frustrazioni al tavolo. È soprattutto a causa di atteggiamenti come questi, ne sono convinto, che tanta gente per reazione ha cercato di trasportare in D&D mantra come “default to yes” e “fail forward”… ma questa è un’altra storia.

In sintesi: state alla larga dal costrizionismo! Questa era facile: vediamo le altre.

Illusionismo

L’illusionismo (questo invece è un termine davvero esistente nel gergo dei GdR) è un fratellino minore del costrizionismo, o almeno un suo cuginetto di primo grado.

Si ha quando il Diemme fa credere ai giocatori di aver fatto una scelta significativa, quando in realtà le conseguenze sono già prefissate e indipendenti da ciò che decidono.

A differenza del costrizionismo, l’illusionismo non sempre invalida l’agency. Quand’è che lo fa? Quando la scelta originaria era consapevole, basata su certe assunzioni / informazioni, e il Diemme reinterpreta, aggira o invalida quelle assunzioni / informazioni allo scopo di presentare una conseguenza in realtà incoerente. Se invece la scelta originaria non era rilevante ai fini dell’agency, l’illusionismo è a sua volta irrilevante (e potrebbe essere addirittura utile).

So di essere stato criptico. Chiarisco con degli esempi.

I PG trovano un villaggio abbandonato e semidistrutto, dopo una razzia di predoni. Il Diemme ha pronto un incontro con un sopravvissuto che li attacca in preda al panico credendoli nemici. Giocatori: “Quante case ancora in piedi ci sono?”. Diemme: “Diciamo una trentina”. Giocatori : “Entriamo nella prima a destra”. Diemme: decide che il sopravvissuto si trova lì (avrebbe fatto così qualunque fosse la prima casa in cui entravano: in pratica, un quantum-incontro). Questo illusionismo non è dannoso: il Diemme non ha invalidato nessuna scelta consapevole dei giocatori e ha solo tenuto alto il ritmo del gioco, senza perdere tempo con case vuote.

Torniamo alla situazione di prima e facciamola andare in un altro modo. Giocatori : “Quante case ancora in piedi ci sono?”. Diemme: “Diciamo una trentina”. Giocatori : “Hmm… ci giriamo intorno in cerca di segni di passaggio”. Diemme (contento che si interessino): “Vicino a un gruppetto di case sulla sinistra vedete delle orme che sembrano successive a quelle dei predoni, si sovrappongono”. Giocatori: “Ok, ci avviciniamo e stiamo fermi e in ascolto, sentiamo qualcosa?”. Diemme (speranzoso): “Sì! Uno scricchiolio soffocato… qualcuno si sta muovendo nella terza casa a sinistra”. Giocatori: “Meglio stare alla larga, allora. Andiamo dalla parte opposta del villaggio, e perquisiamo le case che sono là”. Se adesso il Diemme, spiazzato, fa comparire il sopravvissuto in una di quelle case sta facendo un illusionismo molto dannoso, perché sta invalidando le informazioni che egli stesso ha dato ai giocatori e su cui loro hanno basato la propria decisione.

L’illusionismo può essere un modo per fare costrizionismo occulto quando viene usato, appunto, per invalidare l’agency. Può essere comunque problematico, in modo diverso, se viene usato per creare situazioni che, seppur conseguenti con le scelte dei giocatori, sono incoerenti rispetto al buonsenso e/o ai “punti fissi” del mondo di gioco, cosa che può dar luogo a molte difficoltà nel medio-lungo termine. Questo, nel gergo dello scorso episodio, equivarrebbe a muovere le ancore, o a far uscire le boe dal loro margine di flessibilità ragionevole.

Non ci sono problemi, invece, finché lo si usa per adattare la propria preparazione alle virate dei giocatori in modo coerente con il loro libero arbitrio, con il buonsenso e con i “punti fermi” del mondo di gioco. Questo equivale semplicemente a muovere le boe.

L’illusionismo può avere dei punti di contatto con la continuità intuitiva (vedi seguito), anche se non sono la stessa cosa.

Partecipazionismo

Il partecipazionismo (altro termine realmente esistente nel gergo dei GdR) è in un certo senso una forma di auto-illusionismo, o di illusionismo consapevole e volontario, dei giocatori. Ma solo in un certo senso.

Si ha quando i giocatori sono consapevoli che la trama “debba” andare in una certa direzione (perché vogliono che ci vada, o perché se lo aspettano), quindi trovano qualche escamotage all’interno del gioco per farlo avvenire.

Immagine da… beh, praticamente ovunque.

È un problema? No, non è un problema per definizione perché, visto che D&D è un gioco, se siamo tutti d’accordo a far andare le cose in un certo modo lo si fa e basta: contenti noi, contenti tutti. Scusate se dicendo questo ho offeso qualche purista.

Alcune forme di partecipazionismo sono addirittura utili e raccomandate. Per dire, il fatto che i giocatori si mettano d’accordo e creino già in partenza un gruppo di PG con un obiettivo comune, anziché tanti PG indipendenti che il Diemme dovrà poi ingegnarsi per tenere insieme, è qualcosa che raccomando caldamente e in un certo senso è partecipazionismo. Nell’approccio al gioco, molto diffuso, in cui è il Diemme a proporre ai giocatori un’avventura con un determinato obiettivo (può essere scelto da lui, o può essere un’avventura comprata) sarà compito dei giocatori interpretare dei PG motivati a raggiungere quell’obiettivo, e non un altro: è necessario perché il gioco stia in piedi, ed è una chiara forma di partecipazionismo. Anche, banalmente, il fatto di sforzarsi di tenere insieme il gruppo (cioè evitare, per quanto possibile, che i PG prendano strade diverse o addirittura si mettano a lottare tra loro) è un tipo di partecipazionismo molto salutare.

Vi prego di osservare che, seppur in termini diversi, questi sono tutti esempi in cui né le ancore né le boe vengono toccate e semplicemente si collabora, al tavolo, per mantenere gli assunti fondamentali, cioè che si sta giocando a quel GdR, che ci sono delle ancore ben precise (gli obiettivi), e che ci sono determinate aspettative reciproche da parte di tutti i partecipanti (il cosiddetto contratto sociale).

A volte chi si riferisce al partecipazionismo in termini meno lusinghieri ha in mente un caso particolare, che definirei “partecipazionismo condiscendente”: il caso del giocatore che si accorge (o pensa di essersi accorto) di cosa il Diemme ha preparato e, nell’intento bonario di non metterlo in difficoltà, cerca di seguire quella strada rinunciando a qualsiasi scelta diversa. Nei termini a noi cari, il giocatore cerca scientemente di seguire le boe e di non fare virate, quando, perché il gioco funzioni, basterebbe che seguisse le ancore.

Ecco, questa in effetti è una forma di partecipazionismo un po’ problematica, perché rischia di annacquare il divertimento delle persone al tavolo (specialmente del giocatore in questione, che “si sacrifica” senza motivo). Ma il vero problema, qui, è che sottintende una sostanziale sfiducia nel Diemme, precisamente nella sua capacità di gestire le virate. Se è meritata significa che quel Diemme deve lavorare per diventare migliore. Se non è meritata significa che deve lavorare per riguadagnarsi la fiducia dei suoi giocatori.

Yessismo (= continuità intuitiva)

La continuità intuitiva (termine realmente esistente nel gergo), che ho ribattezzato yessismo perché mi piaceva che tutti i termini finissero con -ismo (una forma di perfezion…ismo?), è un terreno scivoloso. È qualcosa che molti Diemme fanno senza accorgersene. Tra coloro che se ne accorgono, c’è chi la esalta come geniale e chi la critica ferocemente. Vediamo meglio.

Avete presente quella battuta / scenetta, riciclata in milioni di meme, in cui il Diemme nota una cosa che i giocatori hanno detto tra loro, per fare un’ipotesi o una battuta, decide che sarebbe bellissimo se fosse vera, e la fa avverare? Ecco, quella è continuità intuitiva.

Più in generale, è una tecnica di improvvisazione per cui il Diemme usa le idee dei giocatori per costruirci sopra la sua trama, in corsa. Lo si può fare in due modi: attribuendo a posteriori agli elementi coinvolti un significato diverso da quello che avevano quando il Diemme li ha introdotti; oppure, generando a posteriori elementi che non c’erano.

Tweet di i_amJeremy.

L’esempio classico (copyright di Ron Edwards) è questo: i PG sono in una taverna e il Diemme descrive, tra gli altri, un avventore incappucciato che se ne sta in disparte. I giocatori mostrano di interessarsi molto a quel PNG, vogliono conoscerlo e portarlo con loro. Il Diemme decide allora di dargli un ruolo nella trama e gli assegna l’identità di Aragorn, erede al trono di Gondor in incognito. Mentre, se i giocatori lo avessero ignorato, sarebbe rimasto una comparsa anonima irrilevante, e non si sarebbe posto il problema. Se il personaggio di Aragorn era già parte del piano del Diemme, e lui ha solo attribuito quell’identità a quel PNG sul momento, potremmo anche definirla una forma di illusionismo (vedi sopra); ma potrebbe anche averla inventata dopo, perché quel ramingo-guida a cui i PG erano tanto attaccati doveva rivelarsi qualcuno di importante. In entrambi i casi è continuità intuitiva: la storia parte da ciò che fanno o dicono i giocatori, il Diemme ha davanti un foglio bianco e lascia che siano le loro idee a riempirlo e a crescerci sopra.

Certe persone apprezzano e lodano questa tecnica perché “va nella direzione che vogliono i giocatori”, o semplicemente perché “è fico” fare così. Altre la criticano sostenendo che è un modo subdolo con cui il Diemme mantiene, di fatto, il controllo totale sulla trama, privando i giocatori della possibilità di scelte davvero incisive (perché il contesto della scelta viene deciso retroattivamente, dopo che la scelta è stata fatta), mentre riduce al minimo il proprio lavoro di preparazione: un costrizionismo occulto per pigroni, insomma.

Bando agli eccessi di filosofia: la mia posizione è la seguente.

Seguire occasionalmente il “suggerimento” involontario di un giocatore per aggiustare qualche aspetto secondario della storia, rendendola più bella o scorrevole o creando un bell’aggancio per una storia successiva, è una valida tecnica di improvvisazione che non c’è motivo di respingere a priori. In fondo, fintanto che l’agency viene rispettata, è solo un altro modo di muovere le boe o di procurarsi spunti creativi.

Il problema grosso è quando si usa la continuità intuitiva su larga scala per generare l’intera storia, o comunque gli elementi principali della storia tra cui, soprattutto, la natura dell’obiettivo e/o le condizioni da soddisfare per raggiungerlo. Questo equivale, nei termini dello scorso articolo, al procedere senza ancore, e talvolta perfino senza boe (o con boe estremamente generiche). Ci si limita a gettare continuamente nuove boe, proprio davanti alla nave, man mano che questa naviga, e in base a come naviga.

Perché è un problema? Perché, come ho detto anche nello scorso episodio, se il mondo immaginario non ha una parte “rigida” (nel senso, stabilita a priori dal Diemme e considerata da lui come vera: un’ancora, insomma) con cui confrontarsi, non c’è concretezza. Manca completamente il senso della sfida, del rischio, della conquista, del successo o insuccesso. I giocatori non potranno mai mettere alla prova le loro scelte, idee, capacità misurandosi con il mondo, perché il mondo è solo un loro riflesso: prima o poi si sentiranno spettatori o alla deriva, e a quel punto il mostro della noia (presentato nell’articolo scorso) sarà lesto a catturarli. Insomma, le ancore sono essenziali.

Randomismo (= sandbox estremo di tipo lasco)

All’inizio abbiamo parlato della versione estrema e deleteria del railroading. Ebbene, benché a molti piaccia negarlo esiste anche l’estremo opposto: la versione estrema e deleteria del sandboxing, che nella sua forma virtuosa (la “scatola di sabbia” di cui ho parlato qui) sarebbe semplicemente l’approccio, apprezzato da molti, per cui sono i giocatori a selezionare l’obiettivo delle loro avventure anziché vederselo proporre dal Diemme.

Il termine randomismo l’ho inventato io. Come la continuità intuitiva, di cui è “gemello diverso”, è un modo di procedere senza ancore. La differenza è che in questo caso ci si affida a strumenti casuali per generare le nuove boe, anziché sceglierle ad hoc in base alla rotta della nave.

Immagine ©2010 VShane ma d’altronde c’è anche scritto

Esempio tipico è il megadungeon auto-generato, in cui ogni volta che i PG entrano in una nuova stanza il Diemme tira su delle tabelle per generarne il contenuto; e poi tira su altre tabelle per generare tesori e ricompense; e magari tira su altre tabelle ancora per le uscite, i corridoi, le trappole e così via (magari illudendosi che questo dia ai giocatori più agency rispetto ad aver progettato il tutto prima; notiziona: non è così). Oppure l’hexcrawl casuale, in cui il Diemme ha un’enorme mappa del mondo “in bianco” e genera attraverso i dadi la geografia, i mostri, gli insediamenti man mano che i PG viaggiano. Sono approcci che un tempo andavano di moda e che tuttora qualcuno usa.

La casualità è una tipica scorciatoia per sfuggire alle difficoltà di “navigare” l’avventura. Ha un vantaggio essenziale: zero sforzo di preparazione, l’ideale per Diemme pigri. E un altro vantaggio non indifferente: la deresponsabilizzazione del Diemme stesso, che si limita a seguire quello che gli dicono i dadi (insieme al suo impulso creativo del momento) disinvestendosi dell’avventura nel complesso. Ma il risultato non è adatto a una campagna appena decente di D&D di medio-lungo termine, perché manca completamente la storia.

Intendiamoci: non voglio dire che non si possa fare una bellissima campagna basata su megadungeon o hexcrawl. È possibile eccome! Ma non può essere tutto randomico: per dare un senso complessivo alle cose deve esserci anche una storia retrostante (per quanto minimale), con degli obiettivi chiari per i PG, delle fonti di conflitto non anonime, e un senso di progresso che vada al di là del semplice macinare esagoni o quadretti. E quindi, come ho detto prima, devono esserci delle ancore.

Quando tutto o quasi tutto è casuale, invece, alla lunga non possono che emergere due grossi problemi: la mancanza di una coerenza di fondo, per cui i giocatori hanno l’impressione di trovarsi di fronte ad un mondo di elementi del tutto scorrelati (spesso indipendenti anche dalle loro stesse scelte!), e la monotonia, cioè la sensazione di un ripetersi all’infinito di uno stesso modello, benché con esiti diversi, senza “andare” da nessuna parte.

Ricordatevi che il mostro della noia è sempre in agguato. Il randomismo è uno dei suoi terreni di caccia ideali!

Le tabelle casuali possono essere ottime risorse, ma usatele con criterio e non dimenticate che ogni avventura dovrebbe essere una storia ed è vostra responsabilità di Diemme renderla tale.

Iperfissismo (= sandbox estremo di tipo rigido)

Non finisce qui, perché ci sono ben due modi negativi di estremizzare il sandboxing: l’iperfissismo (altro termine inventato da me) è speculare al randomismo e suo complementare.

Avete presente quei Diemme che si vantano di costruire uno scenario ricco e dettagliato, e poi lasciare agire liberamente i PG e far reagire lo scenario di conseguenza, senza alcun riguardo per cose come il bilanciamento o il ritmo, e senza nessuno sforzo per creare una vera storia (tanto la storia “viene fuori da sola”)? Ecco, costoro sono iperfissisti.

O meglio, lo sarebbero se facessero davvero questo. La maggior parte di loro, secondo me, più o meno incosciamente genera storie sulla base degli obiettivi scelti dai PG, e in questo senso fa sandboxing soft”, cioè segue l’approccio “scatola di sabbia” di cui ho parlato a suo tempo (l’articolo è sempre questo). Per questo la cosa funziona.

Immagine: meme super-classico in giro per Internet, autore ignoto

Qualcuno, però, prende troppo sul serio questo fatto di limitarsi a far reagire lo scenario così com’è, con (presunta) oggettività, senza fare nessuno sforzo, neanche minimo, di adattare le cose ai PG per far vivere ai giocatori una bella storia avventurosa.

Nel gergo dello scorso articolo questo equivale a gestire il gioco avendo solo ancore e nessuna boa, e/o rifiutandosi di gettare nuove ancore/boe all’occorrenza. Per cui, se i giocatori fanno le scelte “sbagliate” o causano qualche imprevisto, spesso e volentieri finiranno per scontrarsi con ostacoli insuperabili (iceberg) o per impantanarsi in cose noiose e di poco conto che non portano a niente di nuovo (e il mostro della noia li divorerà).

Come si evitano questi problemi

Al di là di tutto questo divertente minestrone, la mia (personale) raccomandazione è di seguire semplicemente le linee-guida, piuttosto pragmatiche, che ho esposto negli altri episodi di questa serie.


Mega-disclaimer finale

Qui si parla di giochi, non di questioni serie. Si gioca per divertirsi, che è l’unica cosa davvero essenziale. E, giustamente, non tutti si divertono allo stesso modo. L’unico giudizio che conta davvero su cosa è “giusto” o “sbagliato” al vostro tavolo è quello vostro e del vostro gruppo!

Col tempo la “comunità” giocante e i vari “esperti” e “guru” (mi ci metto anch’io) hanno elaborato delle teorie e delle tecniche su cosa è generalmente meglio, o peggio, per far funzionare un certo GdR (D&D, nel mio caso). Leggerle e farsi una cultura non fa male, ma vanno prese come strumenti a disposizione, non come sentenze. Talvolta, putroppo, ci affezioniamo così tanto a queste teorie da farle diventare una sorta di religione o bandiera per cui combattere, il che, oltre che sbagliato, è proprio puerile.

Perciò, amici che leggete questa pagina: se vi piace giocare in qualcuno dei modi che ho indicato come “sbagliati”, fate pure. Non date troppo peso alla mia opinione, sono solo un pirletta qualunque su Internet con un piccolo blog che non si fila nessuno. Se a voi e al vostro gruppo piace il costrizionismo spinto, perché è rilassante, o se vi piacciono le campagne senza un obiettivo, in cui ci si limita a vagare senza meta cazzeggiando, o se vi piace la competizione e la lotta tra PG e PG, o addirittura se tendete (argh!) al recitazionismo… ehi, fate come volete. Per quanto il mio blog si sforzi di essere pragmatico, e aperto a tutti gli stili di gioco, riconosco che non ci troverete molto che si adatti al vostro. Siete liberissimi di decidere di non leggerlo. O di leggerlo e dissentire civilmente. O magari, perché no, di leggerlo e provare ad applicare, anche con scetticismo, qualcuno dei miei consigli; nel qual caso sono abbastanza propenso a credere che non ve ne pentirete.


Per approfondire:

  • Ecco una discussione su Dragons’ Lair sul tema railroad, illusionismo e partecipazionismo. È abbastanza animata e come si può vedere non tutti concordano sulle definizioni.
  • Questo articolo su GdR Oggi e questa discussione su Gente che Gioca parlano di illusionismo e partecipazionismo nell’accezione forgita (citata anche nella discussione del punto precedente). Come diverse volte capita a chi usa tale accezione, adottano un tale livello di gergo, formalità e dogmatismo da risultare impervi alla comprensione di un non-esperto (e anche di molti esperti). Riassumo quello che credo di aver capito: la definizione formalmente corretta di “partecipazionismo” è dire apertamente, durante il gioco, cosa dovrà succedere, e poi farlo succedere, mentre “illusionismo” è applicare un seguito prefissato senza dirlo apertamente, non importa se i giocatori se ne accorgono. In pratica, quello che li distingue è se la cosa è esplicita o implicita, non se è percepita o non percepita. Noterete che nel mio articolo ho usato accezioni leggermente diverse, più intuitive e più in linea con l’uso che viene fatto dei termini nella stragrande maggioranza dei casi nella comunità di D&D. Spero che i forgiti mi perdoneranno.
  • Su La Locanda dei GdR ci sono diverse discussioni su questi temi, per esempio questa (dove ho avuto l’onore di vedere citato un mio articolo! – ed è stato quello a farmi notare il forum e a farmi iscrivere per partecipare alla chiacchierata) che è esplicitamente su D&D, e quest’altra che è più generica. Nelle letture consigliate trovate una breve recensione di quel forum, così sapete cosa aspettarvi. Sicuramente, su queste tematiche quel forum è un’autorità, e le sa affrontare in modo molto serio e molto vasto, parlando di GdR in generale (a differenza del sottoscritto che le ha affrontate in modo un po’ sciocco e superficiale, parlando solo di D&D). Se volete davvero approfondire la teoria, questo è il primo posto dove dovete andare.
  • Mario Longo, nella seconda parte di questo articolo sulla “Middle School” (perché non c’è due senza tre, oltre alla Vecchia Scuola e alla Nuova ci dev’essere pure quella di Mezzo), descrive il partecipazionismo come una cosa positiva e fa un breve accenno all’illusionismo e ad alcune altre problematiche viste qui.
  • Anche 1hitpointleft interviene sulla questione (soprattutto sul railroading negativo e sull’illusionismo negativo) in questo lungo articolo storico che, tra l’altro, può insegnarci molto sull’evoluzione del GdR. Se avete tempo, ve lo consiglio!

6 pensieri riguardo “Tutti gli -ismi del GdR (guidare il gioco, parte 3)

  1. Ciao,
    (Per chi legge sono l’admin della Locanda)

    A grandi linee non sono in disaccordo su come hai presentato certi concetti.

    Riguardo all’agency, ho l’impressione che tu confonda (come fai nelle tue definizioni di agency) ciò che avviene al tavolo tra i giocatori con gli avvenimenti diegetici. Questa è una discussione più larga che mi farebbe piacere avere sul forum quando vuoi.

    In particolare, parliamo di quello che hai detto sul partecipazionismo: il fatto che, ad esempio, un gruppo di personaggi stia unito e si getti insieme in un dungeon perché fa parte della giocata non è propriamente partecipazionismo. Non avevamo mai stabilito che quella fosse una “domanda a cui volevamo rispondere”, fa parte della premessa della giocata, della situazione/scenario, ma non degli esiti.

    Gli esiti sarebbero le cose cui ci importa rispondere: nel caso del dungeon old school, usciremo dal dungeon vivi? Che ricompense otterremo? Una buona abitudine è scriversele. Parliamo sia di decisioni momento per momento che di cose più su larga scala; in generale sono le risposte ai contributi dei partecipanti.

    Quindi no, quello non è “un pochino di partecipazionismo”, è proprio zero — a meno che non ce lo metti da altre parti.

    Il partecipazionismo in pratica è “so che non sto contribuendo per davvero alla giocata, ma accetto che mi si faccia sentire che lo sto facendo anche se non è vero”.

    Anche sulla “continuità intuitiva” sei un po’ fuori base; ugualmente, confondi elementi diegetici della storia con i risultati della conversazione tra i partecipanti. Mi fa piacere che hai linkato la discussione sul nostro forum, perché l’abbiamo dissezionata un po’ meglio come cosa. È purtroppo una cosa estremamente comune, ma è completamente antitetica all’agency — non c’è davvero un gradiente. È alla fine una forma di illusionismo molto più subdolo, tanto che il gamemaster stesso può non accorgersi di applicarlo.

    Per risolvere queste imprecisioni, penso l’unico modo sarebbe fare analisi delle giocate, ma in ogni caso apprezzo il tentativo di spiegare queste cose a un pubblico più ampio.

    1. Ciao, Ranocchio, benvenuto sul blog, è un onore averti qui.

      Ti ringrazio della moderazione e della clemenza con cui non hai infierito troppo sulle imprecisioni di questo articolo 🙂

      Come ho detto, la discussione sulla Locanda è molto più dettagliata e la raccomando senz’altro a chiunque voglia approfondire il tema.

      Per il resto, ti anticipo che presto ci saranno dei cambiamenti su questo blog, tra cui un’indicazione più esplicita di quale sia il perimetro (di giochi, modi di giocare, assunzioni) in cui i miei articoli si collocano. Mi auguro che in tale perimetro il senso della mia definizione di agency, che confermo, ti sarà più chiaro.

      Saluti

  2. Volevo dire una cosa sulla Continuità Intuitiva, una cosa che si è già detta sul foum linkato ma che, credo, sia meglio ribadire anche qui: uno dei problemi che avviene con la Continuità Intuitiva, e mi è stata fatta notare perché io non me ne ero mai accorto, è che a volte, cambiando una cosa, questa si porta appresso in conseguenza tante altre. Il risultato? Pensi di aver messo una boa e, troppo tardi, ti accorgi di aver divelto un’ancora! E farai una fatica boia a tenere insieme la baracca (mentre i giocatori continueranno a divertirsi come matti!).
    L’esempio fatto è quello del PNG (chiamiamolo A) che era nascosto da una parte ed improvvisamente diventa il PNG (chiamiamolo B) al fianco ai PG. Messo da solo nulla questio: se non hanno mai incontrato il PNG A sembra un’operazione di poco conto sostituirlo col PG B. Ma se PNG A è legato ad altri PNG o situazioni ed il PNG B ad altre, la sostituzione porta ad una catena di eventi e controsostituzioni in cui è facile perdersi…

    Ciao 🙂
    PS: l’esempio sulla Locanda è più chiaro, ma troppo lungo per riportarlo nel commento.

    1. Sul “vero” concetto di Continuità Intuitiva non mi pronuncio visto che evidentemente devo ancora capirlo bene. Continuiamo a parlarne sulla Locanda e qualcosa salterà fuori 🙂

      Ma, nell’ambito di questa serie di articoli, direi che la domanda si può configurare così: come faccio a capire qual è il vero margine di flessibilità delle boe, per evitare di uscirne? Finora, in effetti, mi ero limitato a dire “ragionevole”, che è una definizione poco operativa all’atto pratico.

      Buon input, ci rifletterò su.

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