Parlo per Esperienza

Eccoci al primo articolo. Se siete nuovi lettori (e lo siete per forza, essendo il primo articolo) la prima cosa che dovete imparare è che uso titoli molto creativi: non dovete prenderli alla lettera.

Cioè, in questo caso forse sì. Perché il tema di questo articolo sono i famosi (famigerati?) Punti Esperienza. Ma quella che racconto è appunto la mia esperienza con loro.

Nel tempo ho attraversato un po’ tutte le fasi.

  • Ho usato i PE esattamente come dicevano i manuali.
  • Li ho customizzati per premiare interpretazione di ruolo eccetera.
  • Li ho aboliti del tutto, facendo semplicemente livellare i personaggi alla fine di ogni avventura (milestone leveling, lo chiama qualcuno).
  • E di recente li ho reintrodotti.

Ecco quindi il mio modo attuale di gestire i PE, e quello che ho imparato dagli esperimenti ed errori passati.

Non sono obbligatori

Non è obbligatorio usare i PE e oggigiorno il loro uso è sorprendentemente poco comune. In molti gruppi il Diemme assegna semplicemente un livello alla fine di un’avventura o al raggiungimento di un punto cruciale. In questo modo si risparmiano fatica e grattacapi. Non c’è niente di male.

(La seconda cosa che dovete imparare se siete nuovi lettori è che chiamo il DM “Diemme”. Senza motivo.)

Però hanno dei vantaggi

Nel tempo ho rivalutato i PE. Hanno alcuni indubbi pregi.

Intanto, sono una forma di gratificazione istantanea: non si può salire di livello ad ogni sessione, specialmente se le sessioni durano poco, ma sapere di aver guadagnato tot PE e poterli aggiungere al totale dà ai giocatori la sensazione di aver ottenuto qualcosa.

Sono anche un modo per dare ai giocatori l’impressione che l’avanzamento dei personaggi dipenda dalle loro azioni. Se il Diemme concede un avanzamento “automatico” alla fine di ogni avventura esso può diventare rapidamente una cosa da dare per scontata. Invece i PE dimostrano ai giocatori che ciò che fanno i PG giorno per giorno procura quel livello: per cui, anche se lo ottengono comunque a fine avventura, sentono di esserselo meritato di più.

Usati bene possono anche diventare una “leva” in mano al Diemme per incentivare o disincentivare certi comportamenti. Un premio extra in PE per ogni paesano salvato, per esempio, spinge i giocatori a preoccuparsi dei paesani molto di più. Se si associa un premio in PE al completamento di una certa quest i giocatori saranno più motivati a perseguirla, e così via.

Infine, sono un utile strumento di misura per “soppesare” le avventure che il Diemme progetta. Molti Diemme alle prime armi hanno difficoltà a capire “quanta roba” (quanti mostri, quante trappole…) dovrebbe contenere un tipico dungeon, per esempio. Sapendo che quel dungeon deve valere 1 livello, e quindi un certo quantitativo di PE, è possibile sommare tutti i PE “sparpagliati” nel dungeon e farsi un’idea di quanto “leggero” o “pesante” esso sia.

Li assegno alle sfide superate

Se ne dicono tante sui PE, e non sempre a torto. Una delle critiche più frequenti è che incentivano i PG ad andare in giro ad ammazzare animali e mostri come se piovesse. In effetti mi è capitato, a volte, di sentire giocatori dire cose come: “uccidi anche lui, non lasciarlo scappare, vale PE”, oppure “se aggiriamo le guardie senza affrontarle ci rimettiamo i PE”. Effetti collaterali della mentalità da videogioco, forse.

Io mi regolo così (e lo chiarisco in modo esplicito ai miei giocatori): assegno PE alle sfide superate. Permettetemi di ripetere queste parole: sfide – superate.

Per essere una sfida una situazione deve avere queste tre caratteristiche:

  1. deve ostacolare i PG nel raggiungimento di uno degli obiettivi dell’avventura,
  2. deve metterli alla prova (cioè, l’esito deve dipendere almeno in parte da loro), e
  3. deve comportare un grado di rischio rilevante.

Una sfida è superata quando i PG riescono a non farsi ostacolare, cioè la affrontano in qualsiasi modo e riescono poi a proseguire verso l’obiettivo.

In altre parole: le guardie sono una sfida perché sono potenzialmente pericolose e perché si frappongono tra te e il tesoro. Se stermini le guardie guadagni PE. Ma guadagni gli stessi PE se strisci alle loro spalle senza farti vedere, o se le corrompi, o se le intorti con la tua parlantina. Fintanto che riesci a superare l’ostacolo, prendi i PE.

Il che ci porta a dire che…

Non sono esperienza in senso stretto

Se i PE rappresentassero l’esperienza secondo il significato italiano del termine andrebbero assegnati anche per le sfide non superate, cioè per le sconfitte; non si dice infatti che si impara dai propri errori? E anche quando i PG si limitano ad assistere ad una scena con attenzione ma senza rischi: non si impara forse anche guardando?

Invece i PE sono una misura di quanto il personaggio è “pronto” a passare a sfide più impegnative. Lo schema narrativo che c’è dietro è: l’eroe si misura con delle sfide, le supera, e una volta dimostrato a sufficienza il proprio valore può passare a sfide più complesse.

Mai darli individualmente

Mai e poi mai. Questo è l’unico consiglio un po’ categorico che mi sento di dare.

Da giovane davo premi in PE ad hoc quando un giocatore faceva quella che mi sembrava una bella interpretazione di ruolo, o aveva una buona idea, o correva un bel rischio per nobili motivi. Non si è rivelata una buona cosa. Col tempo sono arrivato alla conclusione che D&D funziona proprio in quanto gioco non competitivo, e ogni tipo di competizione tra giocatori, anche se le intenzioni sono buone, finisce per guastarlo.

Quindi, quando assegno i PE li assegno sempre al gruppo, mai ad un singolo. Se un singolo fa qualcosa che merita un premio, il premio andrà a tutti e lui avrà la soddisfazione di aver guadagnato qualcosa per il gruppo.

Ho parlato di PE ma naturalmente vale per qualsiasi genere di premio in-game, inclusi soldi extra o “punti karma” o altre cose del genere.

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7 pensieri riguardo “Parlo per Esperienza

  1. Tema molto interessante. Sull’assegnare i PE ai singoli PG ci sarebbe da discutere per ore, ma fondamentalmente sono d’accordo con quello che dici tu. Anche per quanto riguarda il superare la sfida senza dover uccidere tutti, perfettamente d’accordo. Se i PG trovano un modo per aggirare la situazione e risolverla più facilmente e con meno rischi, tanto meglio.
    Una cosa importante che non viene considerata in questi tipi di gioco, è fare PE fuori dai combattimenti. Ad esempio. se vieni convocato per un incarico da un signorotto locale che ha sentito delle tua gesta, e tu (che hai sempre vissuto come un vagabondo) hai modo di affacciarti alla realtà aristocratica per la prima volta, quella esperienza ti deve fornire PE.

    1. Ciao Kuroki, benvenuto sul blog e grazie mille del tuo commento.

      Sul fare PE fuori dai combattimenti sono d’accordo ma a patto che si tratti di una sfida. Come indicato sopra, una sfida non deve per forza essere un combattimento, ma deve comportare un grado di rischio e contribuire al raggiungimento di un obiettivo.

      Quindi, essere convocato da un signorotto ed entrare per la prima volta nel mondo aristocratico per me non fornisce PE (ricordiamoci che i PE non sono esperienza in senso stretto o bisognerebbe assegnarli anche per i fallimenti o per essere solo stati a guardare).

      Invece, trattare con il signorotto per guadagnare i suoi favori o per farsi considerare degni dell’incarico, con il rischio di un rifiuto, è una sfida. Farsi passare per nobili quando non lo si è, in modo da ottenere udienza presso il signorotto che altrimenti ci ignorerebbe, è una sfida. Essere ammessi a corte e doversi mostrare educati e piacevoli a sufficienza per non essere sbattuti fuori, potrebbe essere una sfida (a seconda di quanto il rischio sia rilevante).

  2. Mi hai comunque fatto venire in mente che ho dimenticato un terzo requisito di una sfida, cioè che deve mettere alla prova i personaggi in qualche modo. Un rischio contro cui non possono fare nulla non è una sfida. Ora lo aggiungo, da 2 diventano 3.

  3. Io non uso i punti esperienza perché fanno sballare tutti i calcoli di un’avventura. Ricordiamoci che ogni avventura prevede un numero variabile di sfide e non tutte potrebbero essere affrontate (side quest, sotto trame ed altro), senza contare gli incontri casuali (per chi li usa) e quelli pseudo-casuali (i PG hanno l’abitudine di mettersi nei guai) che forniscono a loro volta punti esperienza e non si sa quante se ne affronteranno.
    Ora, se uno calcola i punti esperienza per avanzare al prossimo passo dell’avventura (o della campagna), basandosi su tutte le sfide, otterrai che avrai i PG di 2° livello mentre dovevano essere di 20°; viceversa, se consideri solo le sfide principali, avrai i PG di 20° quando dovevano essere di 2°…
    Molto meglio l’avanzamento a Pietre Miliari (come adesso viene chiamato), dove si vede l’avanzamento della potenza dei personaggi in base all’avanzamento della trama.

    Ciao 🙂

    1. Molta gente ormai usa le Pietre Miliari. Le ho usate anch’io. Qui spiego perché sono tornato a usare i PE: penso che i loro molti vantaggi compensino il loro piccolo margine di incertezza.

      Mi pare esagerato dire che questa incertezza ammonti a 18 livelli 😉
      Nella mia esperienza il margine di incertezza è nell’ordine di un 50% al massimo, e nella gran parte dei casi ci si assesta tra un 10 e un 20%: più che gestibile. Se i PG in una certa avventura accumulano più PE del previsto non vedo il problema. E anche se fosse un problema, basta ridurre un po’ le sfide dell’avventura successiva.

      Ti consiglio di dare ai PE un’altra chance, poi comunque fai come vuoi 🙂

      1. Personalmente preferisco offrire ai giocatori un open-world dove possano trovare da soli le loro missioni. Quindi l’uso dei PE si rende spesso necessario, non essendoci milestone predefinite. Interessante, oltre che molto più comodo, il concetto di premiare il gruppo anziché il singolo.

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